una recensione a cura di Umberto Mosca
Un film la cui scommessa principale è quella di portare lo spettatore a un difficilissimo punto di ritrovo tra l’estrema rarefazione narrativa del Gravity diretto da Alfonso Cuarón (e interpretato da Clooney) e il “ritorno a casa” affettivo che caratterizza Interstellar di Christopher Nolan.
Anche se The Midnight Sky sarà ricordato soprattutto per essere il film in cui il pianeta Terra perde definitivamente il suo diritto alla “visibilità” come ambiente e paesaggio naturale: c’è soltanto più da scappare e non resta più nulla di abitabile, se non le lande inospitali e repulsive dei Poli. Quando il viaggio avventuroso nella Natura non è foriero di alcuna visione meravigliosa. Da sottolineare, in tal senso, il coraggio narrativo di affidare ai “fuori campo” ogni possibile immagine del ricongiungimento agli affetti terrestri. Legami fortissimi appesi al filo sottilissimo delle canzoni, come la Tennessee Whiskey di Chris Stapleton che apre il film e la Sweet Caroline di Neil Diamond cantata dall’equipaggio spaziale in una sequenza da antologia.