una recensione a cura di Tiziana Garneri
Regista italiano trapiantato in Francia, Meneghetti esplora con delicatezza, mai scadendo nel melò, con iniziale lentezza, l’amore tra due donne settantenni lesbiche.
Nina (interpretata da una bravissima B. Sukowa) e Madeleine (una M. Chevallier premiata interprete della Comédie-Francaise) che vivono da molti anni la loro relazione di nascosto. Ciò a causa dei pregiudizi della gente e a causa delle remore di Madeleine, vedova con due figli che ha scoperto l’amore per la compagna, reticente al coming out per timore delle reazioni della prole.
Il prologo è il gioco a nascondino in un parco autunnale – con le foglie che cadono e i corvi gracchianti – di due bambine: una vestita di bianco, l’altra vestita di nero. DUE come le due parti inseparabili che costituiscono un corpo unico.
Madeleine è più remissiva, più combattiva è Nina, che come in un sogno infantile vagheggia la fuga con l’amata a Roma – la città del loro amore – per poter vivere libere e alla luce del sole la loro relazione.
Le due donne vivono in un’anonima cittadina francese, in due appartamenti sullo stesso pianerottolo: per tutti sono due buone vicine di casa.
Pianerottolo che come un ponte le unisce, che può essere controllato dagli spioncini delle due porte, ma che può diventare anche una barriera che separa.
Ma quando l’occhio della mdp entra negli appartamenti, con pudore e discrezione esplora i dolci baci, le tenere carezze sui capelli, gli sguardi che incrociandosi si illuminano, pieni di complicità, più eloquenti delle parole.
Nel film non vi è colonna sonora, solo il gracchiare dei corvi nell’atmosfera autunnale, il ronzio della lavatrice.
Unica eccezione: la Chariot di Betty Curtis che racchiude il senso del loro vissuto, ”la terra senza frontiere” su cui accennare un passo di danza.
Due potrebbe apparire fin qui un film dignitoso, che parla di temi molto attuali e dibattuti, ma un cambio di ritmo registico, da alcuni definito un “thriller“ dei sentimenti, lo rende particolare e molto veritiero e attuale nella sua drammaticità.
Madeleine viene colpita da un ictus che le toglie la parola e ogni capacità decisionale, in balia del volere dei figli e della badante. E Nina non è nessuno, per tutti è soltanto una zelante vicina di casa, al limite dell’ invadenza, cui viene preclusa la possibilità di stare accanto alla compagna.
Il pianerottolo diventa una barriera che divide. Rimane lo spioncino per carpire notizie e movimenti.
Ma Nina è una leonessa, che non accetta di di perdere metà di se stessa.
La badante, che ha compreso il tipo di legame, stipula un accordo monetario per consentire una vicinanza. E quando Madeleine, con sistemi poco ortodossi, riesce a farla licenziare, la risposta è una vendetta che si compie attraverso la devastazione del suo appartamento.
Anche la figlia ha compreso, e allontana la madre spostandola in una casa di riposo. Ma neppure questo riuscirà a dividerle: la mdp insiste a riprendere il volto spento della malata, lo sguardo senza luce, rannicchiata sul letto in un desiderio di lasciarsi andare.
Tutta sola a combattere l’ottusità dei medici che sanno solo imbottirla di farmaci, con la speranza che si riprenda.
Con estrema fatica e trascinandosi Madeleine riesce a raggiungere un telefono per chiamare Nina. La voce non può più uscire, solo un flebile sospiro, ma l’altra parte di lei comprende. Un abbraccio liberatorio e finalmente l’accettazione da parte della figlia, che comprende.
Perché l’amore è la migliore medicina, perché l’amore vero è accettazione totale, indipendentemente dal sesso e dall’età, è accudimento della persona più fragile, perché DUE non è divisibile.
Un film che tocca quindi alcuni temi assolutamente attuali: a lesbiche, gay e transgender – infatti – molto spesso non viene riconosciuta la dignità di persone con un’anima e con dei sentimenti, venendo discriminate da un mondo ottuso.