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AVATAR – LA VIA DELL’ACQUA | Profondo Blu

Titolo originale: Avatar: The Way of Water

Regia: James Cameron

Anno: 2022

Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Elena Pacca

Visione immersiva è il caso di dirlo. Inforcate gli occhiali, aprite bene le orecchie e lasciatevi trasportare nel mondo ideato e costruito per vivere un’avventura che vale il prezzo del biglietto e incolla grandi e piccoli – una visione pomeridiana mi ha consentito di spiare la loro assoluta attenzione di occhi sgranati sul grande grandissimo schermo in religioso silenzio – all’epopea Na’vi nel mondo acquatico dei Metkayina, popolazione simile ma che ha sviluppato caratteristiche precipue adatte alla vita marina.

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Nonostante lo sgranocchiare, meccanico, un ruminare passivo, e l’effluvio permanente di popcorn salati pescati da giganteschi secchielli, la potenza di Avatar sta nel trascinarti, con la facilità con cui si cavalcano gli animali volanti o quelli marini, in un mondo in cui ti senti partecipe, come dotato delle stesse fantastiche possibilità di quegli esseri sinuosi, tatuati e seminudi, intelligenti e scaltri, amorevoli e guerrieri se si tratta di difendere la propria terra, i propri amici animali e soprattutto la propria famiglia, il nucleo vitale attorno a cui gravitano genitori e figli anche se di natura diversa  Se siamo nel futuro è un futuro arcaico, il ritorno a una Pangea terracquea che tutto contiene, l’amore e la ferocia, la pace e la guerra, i sentimenti primitivi, di appartenenza tribale e la fratellanza universale. Un’utopia inarrivabile e aliena che si autoalimenta scena dopo scena, riempiendo gli occhi non solo di meraviglia, ma anche di paura e inquietudine. L’uomo, conquistatore di mondi e portatore di soprusi, è il nemico giurato. Là dove incontra l’indigeno, porta morte, distruzione e sfruttamento brutale delle risorse. La storia si ripete, quale che sia il mondo vissuto o a venire, come se la storia, in quanto umana, viaggi, purtroppo, sempre a senso unico.

Il 3D trova un senso non meramente estetico, per quanto questo sia essenziale, ma sostanziale. Lo schermo si fa materico. E, se ne La rosa purpurea del Cairo, Tom Baxter dallo schermo scende in sala per incontrare Cecilia, l’assidua spettatrice, qui siamo noi a essere fagocitati, risucchiati da Pandora e dai suoi abitanti e siamo con loro, non solo spettatori, ma elementi in scena. L’acqua, elemento ancestrale che permea tutta la storia si fa protagonista, nelle sue innumerevoli possibilità e la pioggia è così vicina che per un attimo vorremmo ripararcene o sentirla sulla pelle, lungo uno scivolamento sensoriale che da visivo si fa tattile e sonoro, suadente e piacevolmente totalizzante.

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