Regia: Damiano e Fabio D’Innocenzo
Anno: 2021
Produzione: Italia, Francia
una recensione a cura di Elena Pacca
Le scale a scendere, scendere, scendere. L’acqua a salire, salire, salire. Si rimane senza fiato annaspando come quando non c’è più scampo. Un film ancora più intellettualmente radicale, più estremo, di quello precedente, in cui percepiamo da subito la frattura tra reale e ciò che reale non è. Dall’inquadratura della villa in cui abita Massimo, il protagonista, moderna, confortevole e al tempo stesso come corrotta da una patina di decadenza: un’immagine che ricorda la sensazione, inspiegabilmente spiacevole, dell’incipit di Blue Velvet di David Lynch. C’è sempre un sopra e un sotto. Un dentro e un fuori. La deflagrazione fra l’apparire e l’essere è un implosione corrosiva, straziante. Ci incantano per un attimo le figure dai tratti preraffaelliti – eredi delle fanciulle di Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir – di moglie e figlie, ma poi prende il sopravvento il mondo, quel mondo a parte dove nulla è più (o è mai stato) perfetto.
Elio Germano, come un terzo fratello, è corpo, volto, voce e respiro di questa nuova, ferocemente cupa, storia di Damiano e Fabio D’Innocenzo.
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