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ASTEROID CITY | Che fine ha fatto Wes Anderson?

Regia: Wes Anderson
Anno: 2023
Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Alessandro Sapelli

Se già con The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun anche nei fan più accaniti del regista hipster per antonomasia era balenato qualche legittimo dubbio, con l’uscita nelle sale di Asteroid City l’ipotesi che lo stesso stia attraversando una fase di impasse creativa si fa sempre più concreta.

Onde evitare fraintendimenti, sotto il punto di vista estetico e stilistico Anderson riesce ancora a primeggiare sulla concorrenza mantenendo alcune spanne di vantaggio. Fotografia ed uso dei colori, governati in maniera impeccabile a riprodurre un perfetto stile vintage da cartolina anni ’50, trasportano lo spettatore in un’ambientazione da sogno, dalle tinte vivissime ma allo stesso tempo dai contorni sfumati.

Purtroppo però, proprio come al risveglio da un sogno, il ricordo di quanto appena vissuto dallo spettatore al termine della proiezione rischia di sfumare via rapidamente come sabbia desertica tra le dita. A partire da Grand Budapest Hotel, dove l’eterna lotta tra contenuto e forma era ancora perfettamente equilibrata, abbiamo progressivamente assistito al soccombere del primo a vantaggio della seconda.

Asteroid City img 1 ale s

Il gioco di scatole cinesi che interseca su tre piani narrativi la genesi di un’opera teatrale, la sua realizzazione e il racconto di quanto avviene dietro le quinte, è come sempre eseguito alla perfezione, ma è anche rappresentazione metafilmica della gabbia in cui si trova confinato un autore, nella perenne frustrazione di dover dare una dimensione finita all’infinitezza del racconto.

Questa continua riflessione tra materia narrativa e forma finisce per prosciugare tutto il resto: non c’è spazio per un approfondimento psicologico dei tanti personaggi radunatisi allo Junior Stargazer, non c’è tempo per scavare oltre la superficie dei numerosi temi trattati: è subito ora di passare ad altro.

Per chi assiste dalla platea risulta quindi molto complicato empatizzare con i tanti protagonisti che si avvicendano sullo schermo nel tourbillon di apparizioni dei tanti attori che ormai fanno parte della compagnia di Anderson, alcuni di essi confinati in piccoli camei di qualche secondo o su un balconcino a fumare rimpiangendo di essere stati tagliati.

Anche se l’alter ego del regista, Schubert Green (Adrien Brody), spiega ai suoi attori che “non è importante che si capisca di cosa parla la commedia, quel che conta è continuare a raccontare la storia”, è proprio quest’ultima la grande assente di Asteroid City. L’augurio è che Anderson possa tornare, sin dal prossimo progetto, a raccontarci quelle piccole, meravigliose storie capaci di deliziare sia l’occhio che il cuore dello spettatore.

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