ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

BARDO, LA CRONACA FALSA DI ALCUNE VERITÀ | Confesso che ho vissuto.

Titolo originale: Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades

Regia: Alejandro González Iñárritu

Anno: 2022

Produzione: Messico

una recensione a cura di Elena Pacca

Salta la parola
Dinanzi al pensiero
Dinanzi al suono la parola salta come un cavallo
Dinanzi al vento
Come un vitello di zolfo
Dinanzi alla notte
Si perde per le vie del mio cranio

Octavio Paz

Prima premessa: non ho mai amato molto Alejandro González Iñárritu.
Seconda premessa: ho amato molto questo film.

E come se, abbassati i riflettori, abbandonata la voglia di stupire a tutti i costi perché tutti si accorgessero di quanto fosse bravo anzi bravissimo, in un bulimico e fantasmagorico giro della morte di uao uao uao (wow wow wow), lasciando perdere la testa a danno/favore del cuore (non lo dico io ma lui stesso) avesse ripreso un filo abbandonato e si sia riappropriato di un sé, se non perduto, quantomeno nascosto. Con tutti i limiti, i difetti e i costrutti di una vita che ha superato quel mezzo del cammin che ha costretto – Dante in cima – a fare i conti con sé stessi, con la propria esistenza, con chi si è e con chi ci si crede di essere e con quello che gli altri credono tu sia.

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Iñárritu si concede il privilegio di straripare per dire tutto quello che vuol dire, quelle cose false e alcune verità o viceversa, chissà, e lo fa mettendo in scena una gigantesca seduta terapeutica dove lo schermo è il lettino dove lui, nella panni di Silverio Gama, si sdraia e inizia a farci vedere quello che la sua mente prolifica, ma talvolta afona, produce. Tante le suggestioni da Fellini a Sorrentino, da Terry Gilliam a Reygadas, da Truffaut a Wes Anderson passando per Malick e Gaspar Noė e tanto altro perché noi siamo ciò che viviamo ma anche ciò che leggiamo (e per lettura si intende ogni forma artistica, dalla pittura alla letteratura alla cinematografia o al teatro). Iñárritu cantore di sé stesso, della sua epopea che è anche – ma non solo – dello stesso amato Messico, heimat del cuore, abbandonato, in favore degli Stati Uniti, in un gioco di marea di andate e ritorni che ne fanno un migrante di lusso, ma in fondo uno spatriato, affetto da una diaspora interiore che lo fa sentire straniero ovunque.

Alla sequenza iniziale – l’ombra balzante – ero pronta a intingere la penna nel curaro di una critica feroce (come in parte c’è stata dagli incensatori precedenti) e poi la Magia del Cinema – sì sì abusiamo pure dei cliché – ha trasformato il veleno in ambrosia. E da quel monito imperioso “gli uomini duri non ballano”, ho ascoltato l’esortazione di Bowie per voce sola e ho iniziato a ballare sulle immagini di quel cinema non più solo estetico o meglio estetizzante, ma sinceramente libero, libero di andare oltre, di scocciare chi non amerà la verbosità di certi scambi di battute, di chi mal sopporterà il parlarsi addosso/contro, di chi vedrà in certi espedienti visivi la visionarietà di un guitto – il bambino ricacciato nel ventre materno, lo squilibrio di altezza nell’incontro col padre che letteralmente giganteggia senza opprimere, a testimoniare la grandezza di un padre e del suo ruolo -, di chi mal tollererà il rimescolamento della Storia da Cortez in poi, con le storie minime, ombelicali, quelle questioni private che attanagliano il nostro Silverio Gama.

E a chi in questo mondo imperante di aforismologi master tutor del saper vivere un tanto a like, di saintexupery un tanto a follower, vorrei dire che non è vero che non conta cosa si dice ma contano solo i fatti. Le parole contano eccome. Quelle dette (e come sono dette) e, a volte, maggiormente, quelle non dette, che scavano un solco magari insormontabile.

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Il gioco di sponda fra sogno e realtà, si compie sino alla fine, in un travaso liquido che permea ricordi, suggestioni, immaginazione sino a quella balaustra stile Terrazza Mascagni lungo la quale a un certo punto si spengono i lampioni. Le luci volte al buio attestano la linea piatta di quell’elettroencefalogramma che sancisce la morte cerebrale, l’unica a contare veramente, prima di spiccare il volo, un grido vitalistico in onore della meravigliosa anarchia dell’animo umano.

Let’s sway
Sway through the crowd to an empty space
If you say run
I’ll run with you
If you say hide
We’ll hide

David Bowie

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