ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

BEAU HA PAURA | La mamma è l’essere più crudele del mondo

Titolo originale: Beau is Afraid

Regia: Ari Aster

Anno: 2023

Produzione: Stati Uniti d’America, Canada, Finlandia

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Il terzo lungometraggio di Ari Aster è un lungo viaggio nella vita e nelle paure di Beau Wessermann, interpretato da uno Joaquin Phoenix alle prese – ancora una volta – con un personaggio estremo e marginale della sua carriera d’attore.

Il film è suddiviso, seppur non esplicitamente, in quattro “quadri” distinti e un finale, che raccontano una vicenda delirante e onirica. Difficile distinguere, infatti, dove finisca la vita reale di Beau e dove inizino incubi e fantasie o la sua interpretazione di una realtà sofferta e, a tratti, quasi brutale. È impossibile, quindi, attribuire o meno un significato letterale a ciò a cui assiste lo spettatore.

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Nel primo “quadro” emerge in modo chiaro la paura continua e totalizzante in cui si dibatte il protagonista, il cui rapporto con la madre – che inizialmente si è portati a immaginare anziana e forse sofferente – è indagato da uno psicoterapeuta sorridente ma insinuante. Non è chiaro se Beau lavori o si occupi di qualcosa durante le sua giornate ma, di certo, vive in un quartiere che sembra uscito da un mondo distopico, devastato – com’è – da ogni possibile genere di violenza e corruzione: droga, rapine, morti abbandonati in strada, folli di ogni tipo lasciati circolare liberamente. Si tratta di una vera e propria proiezione “fisica” delle paure del protagonista, che esce raramente di casa se non per andare dal terapeuta o poco più. Ma a scatenare gli eventi narrati nei successivi “quadri” è la notizia di un incidente, forse mortale, occorso alla madre mentre era in casa.

Fra disavventure, stranezze e contrattempi (anche gravi) di ogni genere, Beau percorrerà un viaggio (allucinato, ovviamente, e in fondo quasi involontario) verso la casa della madre e, ancor di più, dentro se stesso. Conoscerà una famiglia che, avendolo investito con la propria automobile, proverà pena per lui e lo aiuterà a rimettersi, rivelandosi anch’essa – però – una famiglia disfunzionale. La coppia, infatti, vive nel ricordo adorante del figlio morto in guerra, a causa del quale la giovane figlia viene trascurata e quasi ignorata. E durante la fuga dalla loro casa conoscerà un gruppo di improbabili teatranti dei boschi, grazie ai quali vivrà – in modo ancora una volta sognante – un’esistenza che non ha mai vissuto e in cui ha avuto tre figli.

Ma l’incontro finale con la madre, in realtà ancora viva e con un piglio da autentico predatore, sarà causa di ulteriori problemi per lo spaesato Beau, che concluderà la propria vita esattamente come l’aveva vissuta: terrorizzato, colpevolizzato e quasi senza capire cosa gli accade. Tornerà, infatti, nell’orrenda soffitta in cui veniva relegato da piccolo e in cui incontra, psicanaliticamente, se stesso e il padre, morto tristemente – come il nonno e il bisnonno prima di lui – dopo il primo coito matrimoniale. La madre per difenderlo dalla medesima fine (ma il marito è realmente morto così o si tratta di una manipolazione a fini di controllo del figlio?) gli ha impedito di conoscere qualsivoglia donna, instillandogli un autentico terrore per l’altra metà del cielo. E la fine del protagonista sarà solo un’altra tappa del terribile e subordinato rapporto con la genitrice.

In Beau ha paura, Ari Aster ci parla delle difficoltà e degli orrori che possono celarsi dietro i rapporti famigliari e in particolare nella relazione con la figura materna, che può assumere – specie nel caso di un figlio maschio – forme imbarazzanti se non addirittura tossiche. E il personaggio sofferente, ma anche grottesco, a cui dà vita Phoenix sta lì a dimostrarcelo.

Ancora una volta – dopo Midsommar, Il villaggio dei dannati – un lungo film (anche se le tre ore di durata si reggono bene) in cui il lato psicanalitico e simbolico è predominante, con un significato – però – meno criptico rispetto alla vicenda narrata nella precedente opera. Indubbiamente angoscianti sia l’aspetto, sia le disavventure vissute dal protagonista e ben riuscito l’inserto d’animazione del terzo “quadro”, che descrive una possibile vita di Beau con famiglia e figli che può esistere – visto il suo terrore per ogni aspetto della vita – solo in un mondo immaginario e in un’improbabile opera teatrale nei boschi. Restano insuperate, però, la potenza delle immagini e della colorata fotografia di Midsommar.

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