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BLONDE | L’insostenibile peso di una vita in maschera

Regia: Andrew Dominik

Anno: 2022

Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva
Blonde img 1 beppe e chiara

Il film di Andrew Dominik rappresenta un nuovo passo verso la definitiva mutazione del genere “biopic”, che di biografico ha sempre meno, almeno nel senso tradizionale della parola. In Blonde è privilegiato in toto il particolare punto di vista del regista (e dell’autrice dell’omonimo romanzo da cui è tratto, Joyce Carol Oates) su ciò che è stata e ha significato la vita di Marylin, poiché restituisce un’immagine dell’attrice non vera in ampie parti degli episodi narrati, mantenendo – però – una forte verosimiglianza in ogni passaggio. Alcuni degli accadimenti sono, infatti, dei falsi – il tentato omicidio della piccola Norma Jeane da parte della madre, il ménage à trois con i figli di Charlie Chaplin ed Edward G. Robinson, le lettere del mai conosciuto padre che promettevano finalmente un incontro – che ripropongono, seppur in veste diversa, situazioni e stati d’animo che hanno una stretta relazione con la difficile vita di Marylin Monroe. L’immagine finale che emerge è – quindi – fortemente verosimile, seppur a tratti non reale e poco accurata, ma è anche – e soprattutto – parziale, poiché il film è incentrato in primis sul tema dello sfruttamento e rappresenta la protagonista come una vittima inerme in balia degli eventi.

È possibile, in questo, cogliere un parallelismo con il diversissimo Elvis di Baz Luhrmann? A fattor comune fra le vicende personali delle due icone “pop” vi è la macchina dello spettacolo che – in Blonde – sfrutta l’attrice in modo feroce, come evidenziato nella ricostruzione di A qualcuno piace caldo, dove l’importante è mettere Marylin in condizione di calcare la scena ad ogni costo. E poi – ovviamente – lo sfruttamento della donna e del suo corpo, dal primo produttore che ne abusa sessualmente all’incontro con l’uomo di potere per antonomasia, il presidente americano.

La narrazione prende avvio da alcuni episodi della vita di Norma Jeane bambina, oppressa – come la madre – dall’assenza di un padre (e di un compagno/marito) che si è allontanato dalle due donne quando la madre è rimasta incinta della bambina, non voluta da ambedue i genitori. L’intera esistenza dell’attrice è segnata negativamente, nella visione del regista, dalla mancanza di una figura paterna e dalla speranza frustrata di incontrare e conoscere il padre, inizialmente alimentata dalla madre – altrettanto sofferente e poi addirittura astiosa nei confronti della figlia – e successivamente dalle presunte lettere del genitore (in realtà del figlio di Chaplin, nella finzione cinematografica) che promettono un incontro mai concretizzatosi.

Una figura, quella del padre, che torna insistentemente (vedi l’uso del nomignolo “daddy”) in ogni rapporto sentimentale con uomini più avanti negli anni, come i mariti Joe DiMaggio e Arthur Miller. A ciò si aggiunge la lotta interiore fra le incompatibili Norma Jeane Mortenson Baker e Marylin Monroe, quest’ultima presentata come una vera e propria “maschera” in cui la protagonista – secondo le sue stesse parole – si calava annullandosi, poiché il mondo intero la considerava solo ed esclusivamente Marylin (al contrario di ciò che accadeva, ad esempio, ad altre maschere come Charlot o Stanlio e Ollio, che trovavano vita esclusivamente sullo schermo).

Blonde img 2 beppe e chiara

Il film è quasi ripartito in tre distinti segmenti, il primo – l’infanzia con la madre e l’abbandono in orfanotrofio – e l’ultimo dei quali – gli anni finali in cui l’abuso di alcool e di sostanze ne condizionano profondamente personalità e capacità lavorativa – dominati da un contesto e un vissuto quasi “allucinati”, ben descritti mediante le immagini e il montaggio. Due parti inframmezzate da un segmento in cui la vita della diva è descritta come quasi “normale” – con i suoi tentativi di migliorare la recitazione e acculturarsi con i classici, nonché collaborare in un certo qual modo con il secondo marito – seppur in un contesto hollywoodiano scandito da un certo disordine della vita sentimentale e personale della protagonista.

Blonde img 3 beppe e chiara

A sottolineare e rafforzare le fasi “allucinate” dell’esistenza di Marylin, il regista ricorre ad un uso originale e caotico delle immagini e dei formati, passando con grande dinamicità e senza uno schema preciso dal bianco e nero al colore, dall’“antico” schermo 4:3 al “moderno” 16:9 e dalla normale macchina da presa ad un uso occasionale e mirato dell’handycam.

Una nota finale di colore sociale e politico: forse in un periodo storico in cui la legge sull’aborto negli Stati Uniti d’America (ma non solo) è sotto attacco, il regista avrebbe potuto dar meno enfasi se non al tema dell’aborto in sé (storicamente confermato è l’aborto spontaneo durante il matrimonio con Arthur Miller), certamente all’episodio di vita vissuta, narrato un po’ troppo sopra le righe con le insistenti immagini del feto, facilmente fraintendibili (o forse no?) per quel che riguarda le intenzioni del regista.

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