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BUSSANO ALLA PORTA | Tu cosa faresti?

Titolo originale: Knock at the Cabin

Regia: M. Night Shyamalan

Anno: 2023

Produzione: Stati Uniti d’America, Cina

una recensione a cura di Chiara Lepaschy e Giuseppe Minerva

Un bosco rigoglioso di splendidi e venerabili alberi. Una stradina che lo attraversa e conduce ad una bella e linda casetta adagiata in una radura. Per un ambiente che invera – in ogni dettaglio e nel suo complesso – uno dei più potenti archetipi delle favole di ogni luogo e provenienza, giunto a noi dal tempo profondo attraverso la mediazione di scrittori come Perrault, i fratelli Grimm e Andersen. E una bambina – personaggio delle fiabe archetipico per eccellenza – che al limite del bosco cattura delicatamente grilli dai bassi cespugli. Studia i piccoli esemplari con passione da entomologa in erba, sistemandoli in un vaso di vetro perfettamente pulito e arredato con piccoli rametti, foglie e terriccio, in cui i minuscoli esseri possono sistemarsi provvisoriamente senza soffrire troppi disagi. Torneranno liberi e illesi, infatti, dopo qualche ora di attenta osservazione da parte di Wen (Kristen Cui): nessuna cattiveria o crudeltà, quindi, ma solo curiosità per la natura, in un microambiente – il barattolo – che costituisce a tutti gli effetti un presagio di ciò che accadrà anche agli esseri umani di lì a poco.

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E se ci sono un bosco e una bella bambina che vi si aggira non può mancare, ovviamente, il terzo insostituibile archetipo delle favole: l’orco. Ed è proprio a questo che lo spettatore pensa quando, in lontananza fra gli alberi, spunta l’immensa figura di Leonard (Dave Bautista), che, nonostante la camicia bianca e immacolata, non può non suscitare in Wen (e in noi) un immediato senso di inquietudine e pericolo. E il suo annunciare l’imminente arrivo di altre tre persone e la necessità di entrare in casa e parlare con i suoi genitori, sancisce l’atteso precipitare della situazione. E la trasformazione della bella casa nel contenitore di legno e vetro – altrettanto lindo e arredato – in cui saranno gli umani, stavolta, a doversi sistemare ed essere accuratamente custoditi. Tutti gli umani: la famiglia e i quattro visitatori.

Ma chi sono i due uomini e le due donne giunti dal bosco? I classici psicopatici in stile americano? Dei volgari ladri in cerca di vittime da derubare? O cos’altro? Ogni spettatore se lo chiede insieme a Eric (Jonathan Groff) ed Andrew (Ben Aldridge), i due papà di Wen. I primi venti minuti rappresentano la parte migliore del film, poiché capaci di creare quel rovesciamento delle aspettative che la visione di quattro sconosciuti equipaggiati con misteriosi attrezzi (agricoli o di tortura?) non farebbe neanche lontanamente ipotizzare. Ma il tono di Leonard, in particolare, è pacato e rassicurante: nessun male verrà fatto ad alcuno di loro e non saranno obbligati a far nulla che non decidano spontaneamente di fare. Anche se il tempo per decidere è poco. Queste poche e oscure parole dovrebbero garantire, nelle intenzioni del regista, il ping pong mentale degli spettatori fra la paura dovuta all’aspetto dei quattro ospiti e la tranquillità derivante dagli inviti alla calma ripetutamente (ed efficacemente) espressi da Leonard e talvolta da Sabrina (Nikki Amuka-Bird). E quindi sostenere l’oscillazione fra il considerarli dei cattivi (potrebbe essere diversamente?) o dei buoni che non possono agire diversamente (possibile, perché no?).

L’altalena d’incertezza in cui lo spettatore dovrebbe avvilupparsi non supera – però – una quarantina di minuti del film e l’esposizione del motivo per cui i quattro sono giunti lì: le “visioni”. Visioni incontrovertibili sull’imminente apocalisse. E uguali per tutti loro, che si sono incontrati per la prima volta nella vita solo pochi minuti prima di arrivare alla casa nel bosco. Essi stessi sono stupiti per ciò che hanno appreso e dovrà accadere: la famiglia potrà salvare il mondo solo attraverso il sacrificio (nel senso di olocausto) di uno di loro.

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Ogni rifiuto comporterà conseguenza gravissime per uno dei quattro ospiti e catastrofici disastri per il pianeta e il genere umano. Da qui in poi la storia diventa meno interessante e con un’evoluzione prevedibile. E, soprattutto, lo spettatore si convince rapidamente di trovarsi davanti a qualcosa di incomprensibile e sovrannaturale, accettando a tutti gli effetti la realtà della situazione.
In conclusione, non il miglior film di M. Night Shyamalan, pur rappresentando la coerente continuazione di un lungo discorso in cui il sovrannaturale e l’extra-ordinario occupano il posto d’onore, siano essi “reali” – come nei ben superiori The Sixth Sense del 1999 e Unbreakable – Il predestinato del 2000 – o artatamente utilizzati dai protagonisti della vicenda per raggiungere il proprio scopo, come nel bel The Village del 2004. A cui si affianca – sempre – l’idea forte che nessun posto è mai realmente sicuro, sia esso la casa nel bosco o il proprio villaggio.

Lodevole, comunque, la capacità del regista di mantenere un buon ritmo fino al termine a dispetto del finale scontato – e garantire un buon prodotto nonostante le evidenti ristrettezze di budget. Modesto il livello della recitazione, con l’eccezione di Dave Bautista la cui calma e seraficità – in contrasto con un fisico imponente e minaccioso – fa indubbiamente maggior presa della disperazione un po’ forzata degli altri attori.

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