ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

CRIMES OF THE FUTURE | Del passato e delle sue conseguenze

Regia: David Cronenberg

Anno: 2022

Produzione: Francia, Grecia, Canada, Regno Unito

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva
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Straniamento e vertigine sono le principali sensazioni che emergono alla coscienza dello spettatore ripercorrendo immagini e vicende del nuovo film di David Cronenberg, in sala a otto anni dalla sua ultima opera. Straniamento temporale, in primis, poiché è difficile capire quanto lontana nel tempo sia la storia narrata. E vertigine quasi fisica, per l’impossibilità di valutare di che tipo di futuro si tratti: non così progredito, probabilmente, poiché il tempo trascorso da oggi al periodo rappresentato sembra quasi essere passato invano. Da un lato, infatti, siamo di fronte a un mondo colonizzato da una tecnologia fatta di rottami e oggetti obsoleti, come nel caso della nave tipo Costa Concordia – adagiata su un fianco ad arrugginire – e dell’improbabile telefono cellulare anni ’80 del Novecento usato da Djuna – assassina del proprio “mostruoso” figlio – nella scena iniziale del film. Dall’altro lato, ci muoviamo in un ambiente in cui occupa un posto centrale una tecnologia in puro stile Cronenberg, cioè meccanica, elettronica e bio-organica al contempo, seppur in foggia da “paleolitico” prossimo venturo, che ricorda – a tratti – quello del lontano futuro dell’alieno di Ridley Scott in Prometheus.

E sono proprio questi ultimi, gli oggetti che più di altri informano di sé contesto e vicenda, in un mondo in cui le persone non conoscono più né il dolore fisico – che fa la sua fantasmatica comparsa solo durante il sonno o l’alimentazione – né le infezioni, sostituiti dal nuovo fenomeno evolutivo – non facilmente giudicabile come negativo o positivo – dello sviluppo naturale di nuovi organi nel corpo degli esseri umani. Il tutto in un ambiente circostante degradato da ogni punto di vista, in cui dominano scrostature architettoniche, ruggini tecnologiche e incompletezza degli ambienti abitati (arredamento ed elettrodomestici sono praticamente assenti). E in cui si osserva un’evidente rarefazione del genere umano, che non è chiaro se sia ancora numericamente in “eccesso” – come oggi – o se si sia in qualche modo ridotto visti le strade deserte, gli uffici con scarso personale e gli spettacoli dal vivo con la presenza di un pubblico assai poco numeroso.

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In questo quadro si collocano alcuni temi e visioni fra i più cari al regista: la mutazione e la trasformazione dall’interno dei corpi, nonché un uso e un significato degli stessi diversi da quelli a cui siamo abituati e per questo, come sempre, perturbanti. Anche se l’esposizione quasi scioccante di una nuova sessualità, fatta di ferite e recisioni delle nuove parti di corpo, non è il solo centro di gravità del film (nonostante sia citata in modo esplicito dal personaggio di Kristen Stewart, che forse indulge un po’ troppo in espressioni e mimiche già viste in Spencer). La vicenda, infatti, ci parla anche del ruolo dell’arte e, soprattutto, delle conseguenze del disastro climatico e ambientale in cui ci troviamo a vivere oggi e in cui vivremo, sempre più, nel prossimo futuro.

E quindi l’arte come rappresentazione e interpretazione, da sempre, della realtà intorno al genere umano e interna al medesimo, istanziate – nel film – dai performer Saul Tenser (Viggo Mortensen) e Caprice (Léa Seydoux), che trasformano la rimozione chirurgica “live” degli organi di nuova sintesi in un’opera d’arte, con evidenti richiami di stampo sessual-masochistico.

E, infine, le conseguenze del disastro sistemico inflitto al pianeta, dovuto alle attività dell’uomo nell’era antropocenica. Conseguenze che non consistono solo nel degrado della Terra in ogni sua componente, ma anche – e questo è il messaggio davvero disturbante del nuovo film di Cronenberg – nell’accettazione, in un qualche modo, del disastro stesso. A volte per libera scelta, come nel caso del gruppo “evoluzionista” di cui fa parte Lang Dotrice (Scott Speedman), senza dubbio ben più umano della polizia New Vice e della madre omicida (che incarnano, invece, il totale e cieco rifiuto di ciò accade sotto gli occhi di tutti). O, altre volte, per un inevitabile dato di fatto, come per il figlio di Dotrice, capace in modo naturale ed “evoluto” di nutrirsi di materiali plastici, cioè delle peggiori scorie fra quelle prodotte dal “precedente” genere umano.

Un film, in conclusione, fatto (anche) per meditare su uno dei temi più critici con i quali l’attuale società è tenuta a confrontarsi. Non solo divertimento, quindi, per le legioni di amanti dell’horror e del perturbante.

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