ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

DISCO BOY | Voglio vederti danzare

Regia: Giacomo Abbruzzese

Anno: 2023

Produzione: Italia, Francia, Belgio, Pòlonia

una recensione a cura di Elena Pacca

Disco Boy è una sorta di Unidentified Film Object. Appare improvviso, luminoso e potente nel cielo dello spazio filmico battente bandiera italiana e lì per lì siamo portati a non crederci.
Un’opera che parte in un modo e procede per scarti direzionali che impongono delle scelte e imprimono dei mutamenti fisici e psicologici. Dietro un angolo, probabilmente c’è un altro angolo, come rispose Giancarlo Pajetta, uno dei leader dell’allora Pci a Maurizio Costanzo al termine di una puntata di Bontà Loro, chiusa ogni volta dalla celebre domanda su cosa ci fosse dietro. Mai una tratta lineare, ma sempre un’altra svolta, epocale o meno sta a noi, o più fatalmente al destino, deciderlo. Aleksej, in fuga dalla Bielorussia attraverso la Polonia e poi la Germania per approdare in Francia, è un orfano e lo diventerà se possibile ancor di più, quando perderà l’amico fraterno Mikhail fuggito assieme a lui inseguendo la possibilità di una nuova vita, appena iniziato quel viaggio.

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Essere qualcosa e voler diventare qualcos’altro. Un incedere ipnotico, che, grazie anche all’interprete principale – quello stesso Franz Rogowski – è debitore delle atmosfere e del fluire techno pop di Victoria, lo straordinario film piano sequenza di Sebastian Schipper.
Un incontro/scontro di civiltà, di uomini, di sogni e di aspettative che toccherà Aleksej, Jomo/Morr Ndiaye e sua sorella Udoka/Laëtitia Ky. Una visione che traccia un percorso di scie luminose, corpi esposti, fermi o in movimento, fughe al neon, ritmi e battiti sincopati e scanditi dalle sonorità electro dance del dj Vitalic un vortice di trance malinconico e incalzante, elemento pulsante e portante della struttura del film al pari delle immagini.
Il disincanto permeato di durezza di Aleksej – arruolatosi nella Legione Straniera allo scopo di ottenere la cittadinanza francese – si contrappone all’appassionato idealismo di Jomo, strenuo difensore della propria terra e della propria gente sul delta del Niger.
Due destini incrociatisi per caso o per necessità daranno luogo a una accesa e colorata danza macabra articolata in uno scontro fisico che si rivelerà letale per uno dei due contendenti, ripreso con una telecamera termica – espediente già utilizzato da Clément Cogitore nel suo Ni le ciel ni la terre, passato al Torino Film Festival qualche anno fa. E che si intrecceranno non solo metaforicamente, ma col respiro di un tribalismo magico in una sorta di incarnazione fisico-sensoriale del soccombente Jomo nel sopravvissuto Aleksej in un passaggio di consegne che ricompone, nell’impossibilità di pacificare il corso della loro storia, i cuori di tenebra di ciascuno dei protagonisti.

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