una recensione a cura di Liliana Giustetto
Profondamente amante della pièce teatrale di Cocteau, Almodóvar gira questo suo primo lavoro di grande successo negli anni ’80, mentre nel 2020 realizza un cortometraggio di 30 minuti, il primo da lui girato totalmente in lingua inglese, con il titolo The Human Voice.
Almodóvar cita se stesso anche nella realizzazione di Gli abbracci spezzati: infatti i protagonisti sono un regista e un’attrice che girano un film intitolato Chicas y maletas (Ragazze e valigie), una sorta di parodia di Donne sull’orlo di una crisi di nervi.
Il pezzo teatrale di Cocteau racconta la storia di una donna che ascolta l’ultima telefonata del suo amante che la sta lasciando: sul palco si vede sempre solo la donna, che parla con un uomo di cui non si possono ascoltare le risposte… risposte evidentemente così dure che lei tenta anche il suicidio.
Questo film, tratto da Cocteau, è invece una commedia con un ritmo rutilante e coinvolgente, sofisticata e sentimentale.
Siamo portati a ridere degli avvenimenti pur percependo il dolore della protagonista.
Per Almodóvar lo strumento telefonico, per comunicare la rottura di una relazione, è particolarmente crudele. Tanto più se, tramite il mezzo della segreteria telefonica, non ci dà l’opportunità di ribattere o di appellarci, con le nostre ragioni, alla decisione dell’altro.
Pepa è la prima ad essere coinvolta dalla decisione del suo amante, il quale, tramite un messaggio sulla segreteria, le comunica che sta per lasciarla, interrompendo la loro relazione.
Questo stravolge la sua vita presente e futura, senza lasciarle modo di spiegarsi e di comunicargli di essere incinta di lui.

Però molti altri personaggi sono coinvolti nella decisione di Iván: la moglie Lucia, il figlio Carlos, la nuova amante Paulina.
Pepa è una grandiosa Carmen Maura – un’attrice che troviamo molte volte nella filmografia di Almodóvar – vive in una casa bella ed accogliente, arredata in uno stile simile a un caravanserraglio, tanto tipico nelle pellicole almodovariane. Ella ospita, a turno, Lucia, la sua amica Candela, in fuga dopo aver ospitato dei terroristi in casa sua, un ragazzo accompagnato dalla fidanzata (Antonio Banderas e Rossy De Palma) che è interessato ad affittare l’appartamento di Pepa, un tecnico del telefono, degli investigatori.
In qualche modo Pepa riesce a consolare tutti e ad evitare il peggio per l’ex amante. Piuttosto passando anche attraverso un gazpacho preparato con un’abbondante dose di sonnifero, per calmare un po’ gli animi di tutti.
Quando alla fine riesce finalmente a parlare con Iván, si rende conto che quello che gli doveva dire non è più così importante e che la sua vita deve continuare da sola e con forza.
Molto bella è la fotografia, i colori sono smaglianti, le luci limpide illuminano tutta la varietà dei sentimenti sui visi dei protagonisti, i personaggi sono caratterizzati in maniera molto marcata.
La pellicola è piena di citazioni: da 8 e 1/2 a Johnny Guitar, da La finestra sul cortile a Il mago di Oz.
Il telefono e la valigia compaiono come in tante altre pellicole di Almodóvar.
Il primo quasi a raccontare la difficoltà di comunicazione tra gli esseri umani, la seconda rappresenta il peso del bagaglio dei sentimenti e dei desideri che ci portiamo appresso.
Il film ci offre anche una forte metafora di quello che è il doppio senso della parola. All’inizio ci viene proposto un modellino della città che rappresenta un finto nel vero. Perché tutto è ambientato nel mondo del doppiaggio dove, appunto, la parola sta a significare che ogni cosa può essere anche un’altra, ogni verità apparente ne nasconde una diversa, forse più vera.
Nel mio immaginario, questa è forse la pellicola più conosciuta ed amata di tutta la produzione di Almodóvar.
