ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

DON’T WORRY DARLING | Non tutto è ciò che sembra

Regia: Olivia Wilde

Anno: 2022

Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva
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Un mondo perfetto, ordinato e idilliaco, dove ogni cosa è collocata al giusto posto e illuminata in modo ideale, addolcita nelle forme e nei colori da condizioni meteorologiche sempre luminose e brillanti, in un ambiente urbano lindo e rasserenante. In questa piccola comunità vivono Alice (Florence Pugh) e Jack Chambers (Harry Styles) che insieme a poche altre giovani famiglie conducono un’esistenza meravigliosa e tranquilla, in cui anche le automobili si muovono all’unisono al mattino, per portare i mariti al lavoro. Bellissime e una diversa dall’altra, lucide e di morbidi colore pastello, con una resa visiva come in dettagliato diorama. Danno vita ogni giorno ad un’allegra carovana che porta gli uomini a lavorare in un qualche centro di ricerca non ben precisato, con un’altrettanta ignota finalità. Come non pensare a Los Alamos visto che il piccolo paradiso è circondato, sembra, da una zona desertica verso la quale è sconsigliato dirigersi?

Ma lentamente quel mondo inizia a palesare aspetti dissonanti, dovuti – almeno in apparenza – all’incapacità di alcune donne della comunità di aderire alle ferree regole stabilite per abitare e vivere in quell’ambiente. E ad avvenimenti misteriosi e perturbanti che accadono ad Alice Chambers e provocano, con il passare del tempo, una crescente tensione con il marito e gli altri membri della comunità, guidata da un carismatico e prescrittivo leader, Frank (Chris Pine).

La seconda regia di Olivia Wilde – volto noto di alcuni titoli di successo quali Richard Jewell di Clint Eastwood e Rush di Ron Howard – è un film che parla del passato e, come spesso accade, anche e soprattutto del contemporaneo. È apparentemente ambientato negli anni ’50 del Novecento, un periodo felice della storia degli Stati Uniti, in cui gli americani – brillanti vincitori del secondo conflitto mondiale e salvatori del mondo e della democrazia – si sentivano buoni e giusti e così erano percepiti dalle altre nazioni dell’Occidente.

Ma era anche, al contempo, una società in cui covavano sottili e profonde inquietudini e in cui il ruolo delle donne era tornato ad essere marginale dopo lo sforzo bellico che le aveva viste protagoniste assolute in qualità di operaie nelle fabbriche di armamenti, come immortalato nel manifesto “We Can Do It” della Westinghouse Electric del 1943. Oltre a ciò, la diffusione dei fondamenti della psicologia tra un pubblico sempre più ampio, portava a concepire mondi e società distopiche quali quelle descritte da Philip Dick nei suoi romanzi.

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Non a caso Don’t Worry Darling deve molto al Truman Show di Peter Weir, la cui sceneggiatura è ispirata ad alcune feconde idee dello scrittore americano.

Ma è anche una storia che parla del nostro presente e di un futuro in cui la tecnologia potrà offrire inconcepibili vie di fuga dalle frustrazioni, in cui i paradisi artificiali – accessibili oggi solo attraverso sostanze stupefacenti – diventano realtà virtuali e quindi vita “vissuta”. Idea già presente nella saga di Matrix delle sorelle Wachowski, anche se con finalità di controllo e asservimento ben diverse dagli scopi descritti nel film della Wilde, dove il destino di vivere in un mondo immaginario e virtuale è scelto liberamente da alcuni (gli uomini/mariti) e subito inconsapevolmente da altri (le donne/mogli).

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In questo contesto si innesta il secondo tema, sempre attuale, della condizione femminile e dello sfruttamento della donna, (ri)portato alla ribalta dal Mee Too e da nuove forme di femminismo (anche cinematografico) in risposta ad un progresso che sembra oggi essere oggetto di una potenziale e mascherata marcia indietro, nonostante una forte attenzione mediatica spesso di facciata. Regresso ad un mondo più antico immortalato, proprio in Matrix Resurrections, dalla figura di Trinity diventata Tiffany e prigioniera di una più grigia vita famigliare.

Infine, non si può non evidenziare un’ulteriore suggestione proveniente ancora una volta dal mondo della Marvel, che alla finalità primaria dell’intrattenimento puro associa sempre – fin dall’era dei comics che l’hanno resa celebre – temi più profondi e d’attualità. Il mondo alternativo rappresentato nell’episodio iniziale della miniserie WandaVision si colloca proprio negli anni ’50 di Don’t Worry Darling e anche in quel contesto il mondo virtuale creato grazie ai propri poteri da una consapevolissima, in questo caso, Wanda Maximoff/Scarlet ha il fine di rimuovere/superare una realtà tragica difficile da elaborare come quella della morte di Visione. Corsi, ricorsi e intrecci, quindi, di proposte filmiche differenti per caratteristiche ma votate, più di quanto non sembri, a far riflettere sul presente e il futuro, pur restando – indubbiamente – prodotti mainstream.

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