MOSCA NON CREDE ALLE LACRIME

 



Moskva slezam nye verit, Russia 1981/ Durata (min) 112′

Genere: Drammatico

Regia: Vladimir  Menshov

Cast: : Jurjj Vassiliev (Rachkov), Natalja Vaejilova (Aleksandra), Boris Smorckov (Kolia), Raisa Rjazanova (Tonia), Irina Nuraveva (Ljudmila), Aleksej Batalov (Gosha) Vera Alentova (Katerina);

Fascia età personaggigiovani adulti


Sinossi

Tre ragazze che vivono in un dormitorio femminile di Mosca, che sognano di laurearsi all’università e che, nel frattempo, si guadagnano da vivere con umili lavori, hanno tre modi diversi di immaginare il proprio futuro: Tonja si vede accanto ad un uomo semplice come Nikolaj; Ljudmila mira, invece, ad accasarsi con qualche bel professionista ricco e benestante, mascherando con la determinazione le proprie origini contadine; Katja, al contrario, vuole studiare e trovare un uomo che la sappia semplicemente comprendere. Tutto sembra andare per il verso giusto quando Katja e Ljudmila, fingendosi figlie di un ricco professore, riescono a conquistare un giornalista televisivo ed un campione di hockey su ghiaccio. Se la menzogna svelata non rovina il rapporto tra la ragazza arrivista e l’ammirato campione (gentile, servizievole, praticamente astemio per non compromettere la propria carriera sportiva), lo stesso non si può dire per il rapporto che si instaura tra Katja e il giornalista: la ragazza si trova sola, incinta e con i propri sogni infranti. Dopo vent’anni però tutto è cambiato: Katja è diventata una dirigente pubblica che gestisce la fabbrica dove prima lavorava come tecnico manutentore, ha cresciuto la figlia da sola e attende ancora l’uomo della sua vita; anche Ljudmila è nuovamente sola, separata dal suo campione di hockey ora alcolizzato e senza più un soldo; Tonja, invece, è l’angelo del focolare di una famiglia numerosa. È a questo punto che entra però nella vita di Katia, Gosha, un operaio specializzato, destinato a cambiare la vita della donna e con essa anche tutti i suoi sogni romantici.


Critica

“Mosca non crede alle lacrime” è un titolo programmatico: la città ha visto tanti e tali stravolgimenti storici, politici, sociali, ha conosciuto mille illusioni, ha versato innumerevoli fiumi di lacrime per la propria condizione, ha aspettato per decenni invano la propria guida che ormai ha rinunciato ai sogni, alle speranze, al cambiamento. O, almeno, a quelle promesse di futuri radiosi e felici a cui spesso i suoi cittadini si sono aggrappati, illudendosi. Tonja, Ljudmila e Katja sono evidentemente delle figure simboliche, profili di possibili atteggiamenti nei confronti della vita: pragmatico, tradizionale ma senza alcun’ambizione quello della prima, azzardato, cialtriero, strumentale, menzognero ma determinato quello della seconda, candido, sognatore, irreprensibile quello della terza. Le tre ragazze sono le tre anime della Russia. Da una tale prospettiva il processo di innamoramento che le pervade è più di carattere civile, sociale e politico che non affettivo o pulsionale. Gli uomini che incontrano e che intendono sposare rappresentano i modelli di crescita economica che il paese può scegliere: quello tradizionale, contadino, non privo di certezze, spazi di felicità, ma senza alcuna speranza di ricchezza; quello collettivo, basato sulle forze dei singoli messi al servizio della collettività; quello individualista, lanciato verso il capitalismo e verso l’iper-tecnologia che spersonalizza gli esseri umani. In una rappresentazione del mondo molto cristiana, quello che seminano le tre ragazze russe dopo qualche tempo raccolgono. La prima lancia in un agro già lavorato sementi che danno un frutto semplice e comune: una famiglia numerosa, un matrimonio tradizionale, un sistema sociale collaudato; la seconda, invece, getta i propri semi in campi che non sono di sua proprietà e anche se riesce a far spuntare una pianta non è abbastanza brava nell’accudirla e farla germogliare; la terza invece semina in un terreno che è teoricamente molto fertile ma che richiede molte cure, una pazienza infinita e una forza di volontà incrollabile. Katja, infatti, vero e proprio personaggio modello con cui lo spettatore deve identificarsi, dopo una vita passata in solitudine, a studiare di notte, a crescere da sola una figlia con cui ha un buon rapporto, a fare carriera all’interno del sistema statale, incontra Gosha, un responsabile di una fabbrica colto, severo, brillante, deciso. Se ne innamora perdutamente, rischia di perderlo e infine lo accoglie in casa come il marito da sempre atteso. Gosha, in questa chiara lettura metaforica del film, incarna il padre, e ancor meglio la patria. Non è un caso che i problemi tra Gosha e Katja nascano quando vengono messe in discussione le differenze di genere, i ruoli rispettivi all’interno di una vita di coppia tra figura femminile e figura maschile. Katja è troppo intraprendente, troppo in carriera, troppo realizzata per poter stare con Gosha. L’uomo, si evince dalla fine del film, deve sempre guardare la donna dall’alto in basso e lo Stato deve essere sempre superiore alle velleità del suo popolo. Katja chiede scusa, si sottomette, fa sedere a capotavola Gosha e lo ringrazia per essere arrivato, dopo tutto questo tempo, in casa sua. La favola finisce nel più scontato e conservativo dei modi: tutti vissero felici, contenti e soggiogati.