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GIMME DANGER | La vera storia del rock

Regia: Jim Jarmusch

Anno: 2016

Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Umberto Mosca

Per chi avesse interesse ad approfondire la tesi critica offerta dal film Elvis circa la matrice baracconesca e completamente business oriented del rock’n’roll – ma non soltanto per questo motivo -, merita la visione di Gimme Danger, il film realizzato da Jim Jarmusch nel 2016 e dedicato a Iggy & The Stooges, che potete recuperare su RaiPlay. Se lo farete, scoprirete tante cose curiose, come ad esempio la ragione per cui, nell’incommensurabile Dead Man, Iggy Pop siede intorno a un bivacco da cowboy vestito da donna, in omaggio a una geniale trovata scenica da concerto. Oppure vi ricorderete che esiste un film diretto da Todd Haynes nel 1998 che si chiama Velvet Goldmine e che i personaggi principali sono ispirati alla relazione tra David Bowie e Iggy Pop. O ancora che i genitori di Iggy vivevano in una roulotte dall’altra parte di 8 Mile molto prima di Eminem e del suo bellissimo omonimo film su Detroit.

Qualcosa di molto interessante su idee e suoni della storia del rock scopriranno anche i fan, giovani e meno giovani, dei Maneskin, approfondendo i legami profondi che, nel corso dei decenni, hanno unito musica e società, consumi culturali e strategie economiche. Come quando Jim Osterberg, in arte Iggy Pop, rivela candidamente che la Summer of Love del ‘67 e quelle successive furono organizzate a tavolino: facevano parte dell’evoluzione del rock’n’roll nella chiave di un grande spettacolo per fare soldi. Ma attenzione, perché Gimme Danger non è soltanto una lunga e preziosa intervista con una delle icone più potenti della storia del rock – probabilmente la principale, se si vuol scegliere il punto di vista di una sessualità liberatoria -, ma è anche il film che – attraverso la mediazione oggi attualissima dell’Iguana Pop – ci ricorda che il Rock Movie si divide in stili e modelli di racconto ben definiti, riproponendo ad esempio un’estetica da Punk Movie costituita dall’assemblaggio ibrido e caotico di immagini diversissime tra loro, tratte da cartoon, B-movie, film comici, programmi tv in bianco e nero e molto altro… (Julien Temple che racconta i Sex Pistols docet).

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Come ci conferma attraverso una carriera che dura da più di trent’anni, la storia dei film di Jarmusch è anche la storia della musica americana, delle sue origini e delle sue contaminazioni, dalla no wave di John Lurie al blues multietnico di Tom Waits, dall’hip hop di RZA al jazz etiope di Mulatu Astatke, dal rock psichedelico della Gibson di Neil Young fino alle sperimentazioni degli Sqürl.

Un cinema in cui – come accade in Mystery Train – a forza di ascoltare i suoni di Memphis e del Sun Studio e a forza di evocare il nome di Elvis, il fantasma del King appare proprio nella stanza fatiscente di un hotel popolato da mostri sacri quali John Strummer e Screamin’ Jay Hawkins!

L’enorme successo di Elvis al box office ci dice che per dare significato al nostro presente abbiamo ancora bisogno del passato e delle sue storie. E questa è la migliore notizia, soprattutto per chi riconosce a Jarmusch l’esclusiva di non aver mai smesso di narrare la storia della musica incarnandola nei personaggi dei suoi film, ben prima dell’avvento della tv e delle piattaforme digitali.

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