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IL CAFTANO BLU | Sotto la pelle

Titolo originale: Le Bleu du caftan
Regia: Maryam Touzani
Anno: 2022
Produzione: Francia, Marocco, Belgio, Danimarca

una recensione a cura di Donatella Ramondetti

Maryam Touzani, al suo secondo lungometraggio come regista, si immerge nuovamente nel mondo intimo e familiare di persone che abitano uno spazio antico, quello della medina di una città del Marocco. E lo fa permettendoci di osservare i suoi personaggi da molto vicino, tramite primissimi piani, dettagli del loro corpo e della loro pelle, sino a renderci partecipi del loro sentire fisico e spirituale.
Se nel film precedente, Adam, la partecipazione alla fisicità dei personaggi e al loro ‘fare’ (in questo caso era emblematica la figura dell’impastare il pane) serviva alla riflessione su un mondo quasi esclusivamente femminile e sulla maternità, in questo film il discorso si sposta sulla coppia.
Halim e Mina hanno un negozio in cui portano avanti la tradizione millenaria della produzione di caftani. La loro vita appare instradata in una routine quotidiana sempre uguale a se stessa e resa tranquilizzante dalla ripetitività e ritualità dei gesti. Gli oggetti consueti (stoffe, fili colorati, aghi, …) si presentano nella tessitura filmica come un tutt’uno con i personaggi, sono una estensione del loro essere, ne determinano il precario equilibrio. Nei loro percorsi abituali in cui la macchina da presa li segue e li anticipa nei vicoli della medina (fra negozio, abitazione e hammam) è pronta a verificarsi una frattura, intesa come interruzione della continuità di questo corpo unico di carne-gesti-oggetti-luoghi. L’arrivo di un giovane apprendista, e non solo, minerà il precario equilibrio della coppia costruito negli anni.
L’insinuarsi nel racconto di fattori destabilizzanti ci permette, con l’ausilio della macchina da presa e di una recitazione ‘epidermica”, di andare ancora oltre, sotto la pelle di questi personaggi per scoprirne la fragilità ma anche la forza interiore che per la regista si coniuga, in questo mondo di uomini, prettamente al femminile.
Il ritmo lento, i dialoghi essenziali, ma penetranti, la presentazione di un mondo ancora rigidamente ancorato alle tradizioni e infine le infinite risorse del femminile, partecipano a rendere lo spazio antico della medina, uno spazio universale dove cercare la propria essenza e capire, al di là della forma, dove può risiedere la purezza di cuore.

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