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IL CAFTANO BLU | Una bellezza interiore

Titolo originale: Le Bleu du caftan
Regia: Maryam Touzani
Anno: 2022
Produzione: Francia, Marocco, Belgio, Danimarca

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Il caftano blu è il secondo lungometraggio della regista marocchina Maryam Touzani, selezionato – come il precedente – per rappresentare il Marocco nella categoria miglior film internazionale ai Premi Oscar.

Il caftano blu img 1 beppe e chiara

Narra la storia di una coppia senza figli, con un lungo matrimonio alle spalle e un laboratorio di sartoria in cui Halim (Saleh Bakri) è un autentico maestro nella produzione di caftani femminili e Mina (Lubna Azabal) è l’imprenditrice che, con piglio secco e sicuro, dirige la piccola attività. L’arrivo del giovane apprendista Youssef (Ayoub Missioui) – assunto per aiutare Halim a porre rimedio ai ritardi accumulati nel lavoro – rende evidente sin dal primo istante che a risentirne saranno i delicati equilibri instauratisi da tempo fra i due coniugi. L’attrazione provata dal marito per il ragazzo è, infatti, inequivocabile seppur espressa solo da fugaci sguardi e da un certo non so che trasmesso dalla reciproca postura dei corpi durante il lavoro. Ad emergere nel corso della vicenda saranno, quindi, i lati più intimi e nascosti della coppia: Halim è omosessuale e le sue profonde malinconie ne sono un’indiretta espressione, poiché può essere se stesso fino in fondo solo frequentando gli hammam, dove ha fugaci incontri clandestini con altri uomini.

Mina intuisce subito l’atmosfera creatasi con l’arrivo di Youssef, al quale fatica ad abituarsi e che inizialmente osteggia anche se senza una reale malevolenza, come meglio si chiarirà nel corso del film. La crisi matrimoniale sembra quindi inevitabile e va ad aggiungersi al lento progredire dei problemi dell’attività economica, ormai talmente costosa – a causa dell’altissima qualità del lavoro artigianale di Halim – da avere sempre meno clienti disposte a spendere il denaro necessario per avere un caftano di alto livello. In fondo – dice una cliente – qual è la reale differenza fra un lavoro fatto a mano da un sarto come il marito di Mina e uno fatto a macchina?

Ma è la malattia di Mina – un cancro al seno ormai incurabile – a costituire la terza e decisiva crisi, che schiude le porte a un inatteso rapporto fra moglie e marito e fra la coppia e Youssef. In un controllato crescendo di partecipazione emotiva e rispetto reciproco, la donna quasi affida il marito al giovane apprendista, invitando Halim a non avere paura dei propri sentimenti poiché è un uomo buono e degno.

Il caftano blu img 2 beppe e chiara

Il tema della coppia e dell’omosessualità sono al centro di una storia ambientata in Marocco, un Paese in cui i rapporti sessuali fra persone di uno stesso sesso sono considerati un reato penalmente rilevante, punibile con una detenzione che può arrivare a tre anni di carcere. Con dialoghi misurati e una prevalenza di primi piani, la regista indaga l’animo turbato di Halim, un artista capace di creare e restaurare abiti meravigliosi ma che è costretto a nascondere il segreto della propria attrazione per gli uomini. La sua malinconia – meravigliosamente richiamata dal colore blu del caftano – è lo specchio non solo della sua sofferenza interiore e di quella della moglie ma anche di un’intera società, che – opprimente e oppressiva – costringe gli omosessuali ad incontri occasionali in luoghi appartati. La crisi spirituale di Halim, dovuta anche alla vergogna di tradire la donna che ama, si somma – quindi – alle condizioni di salute di Mina e alla crisi del lavoro in sartoria.

Quanto possa essere realistica la capacità di accettazione del marito da parte di Mina non è facile dirlo – ancor più vivendo in un paese musulmano – ma il chiaro obiettivo della regista è parlare in modo poetico e partecipato di amore reciproco senza condizioni, di rispetto e della capacità di vedere oltre se stessi per giungere laddove era difficile ipotizzare di saper arrivare.

Il finale della vicenda, del quale si omettono i dettagli per lasciarlo alla visione dello spettatore, è un misto di speranza e tristezza: il funerale che precede l’ultima scena, in particolare, offre un senso di solitudine e isolamento che non lascia spazio a possibili fraintendimenti, mentre la conclusione è forse più ottimista al di là di un possibile scarso realismo.

Lo stile del film è caratterizzato dall’uso di campi molto stretti e ravvicinati su persone e oggetti, realizzati quasi sempre con l’uso di una camera a spalla. Le immagini sono belle pur non lasciando spazio alle smaglianti e colorate vedute degli ambienti e delle città marocchine alle quali siamo, un po’ folkloristicamente, abituati. Fa eccezione – ovviamente – il caftano blu, metafora della bellezza e della condizione umana che si cela dietro le persone che lo hanno creato.

Il caftano blu img 3 beppe e chiara
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