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IL GIURAMENTO DI PAMFIR | Radici profonde e inestricabili

Titolo originale: Panfir
Regia: Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk
Anno: 2022
Produzione: Ucraina, Francia, Polonia, Cile, Lussemburgo

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva
Il giuramento di Pamfir img 1 beppe e chiara

Leonid, conosciuto da tutti come Pamfir, torna al paese natio – nella Bucovina ucraina – a trovare la moglie Olena e il figlio Nazar dopo una lunga permanenza in Germania per lavoro. Rientra in occasione di una festa folkloristica in cui gli uomini del paese, vestiti con un abbigliamento quasi tribale e con il viso coperto da mascheroni che ricordano i nostri mamuthones sardi, si lasciano andare a festeggiamenti e danze frenetiche legate alle tradizioni locali e ai cicli della natura. Pamfir trova una moglie preoccupata per il figlio Nazar che, in piena crisi di crescita, ha bisogno di un padre che gli stia vicino, sia di esempio e lo indirizzi verso una vita adulta matura e non disordinata. Ma le cose, come spesso accade, prendono una piega inaspettata e non andranno per il verso giusto, nonostante le buone intenzioni del protagonista. In un mondo rurale ancora incentrato su figure maschili ingabbiate in ruoli ancestrali, una sciocca bravata del giovane Nazar costringerà Pamfir a riallacciare antichi e pericolosi legami e a ritornare ad abitudini del passato che sperava (e aveva giurato) di lasciarsi alle spalle.

Il giuramento di Pamfir è l’opera prima del regista Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk presentata al Festival di Cannes e al 40° TFF. È un esordio davvero interessante e un’opera matura che tratta i temi dello sradicamento di chi lascia la propria comunità e la famiglia per emigrare all’estero e dell’impossibilità di separarsi del tutto dalle tradizioni e dal ruolo che si occupava nella vecchia struttura sociale. Il rientro in patria di Leonid inizia proprio con i preparativi per la festa pagana, in cui la distanza fra l’uomo e la bestia è quasi annullata – essendo impossibile per il primo separarsi dalla seconda – in un eterno (ri)avvicinamento ad una natura incomprensibile ma da esorcizzare. È una festa che celebra quella animalità incontrollata che le società occidentali hanno sopito da tempo ed è metafora di ciò che accadrà a Pamfir di lì a poco.

L’imprudenza di Nazar, infatti, lo riporterà al contrabbando fra sentieri quasi sconosciuti delle montagne carpatiche, che fanno dell’uomo un tutt’uno con una natura attraversata – in questo caso – con un pesante carico di merce da trasportare verso il confine con la Romania. E se la natura può essere esorcizzata con rituali apotropaici e propiziatori, la delinquenza locale no e Pamfir pagherà fino in fondo il mancato rispetto del giuramento a suo tempo fatto alla moglie.

Il giuramento di Pamfir img 2 beppe e chiara

Il regista rafforza la sensazione di inarrestabile caduta della vicenda lungo un piano inclinato a pendenza crescente, ricorrendo ripetutamente a lunghi piani sequenza che danno allo spettatore l’impressione di essere, proprio come il protagonista, un topo in trappola impossibilitato a scegliere una strada alternativa. E tutto ciò nonostante l’indubbia forza d’animo (e fisica) di Leonid/Pamfir, interpretato da un Oleksandr Yatsentyuk capace di dare corpo con la sua fisicità sia all’uomo che cerca in ogni modo di proteggere la famiglia, sia alla bestia (o, meglio, all’animale di fatica) che è dentro di lui e si “libera” metaforicamente durante la festa e nella realtà quando riprende il lavoro di contrabbandiere insieme al fratello. Una visione di nero pessimismo in cui non si può sfuggire al proprio destino ma che – nonostante tutto – lascia intravvedere un barlume di speranza: anche se tutto è sfuocato, proprio come le immagini finali del film, possiamo solo immaginare (e sperare) che le cose vadano meglio, alla fine, almeno per Nazar.

L’esordio di Sukholytkyy-Sobchuk alla regia consegna l’immagine di una terra, la Bucovina, che conserva affascinanti ritualità arcaiche ma che mantiene, come altra faccia della medaglia, una cultura e una struttura quasi tribale dominata da forze corrotte che non lasciano spazio ad alcuna alternativa. In un contesto così difficile, la Romania – terra di emigranti verso l’Italia e il resto d’Europa – è vista come terra di libertà e promessa di una vita migliore poiché, è bene ricordarlo, fa pur sempre parte dell’Unione Europea – con tutto quello che ne consegue – mentre l’Ucraina no.

Bella, infine, la fotografia crepuscolare arricchita da tonalità rosse e verdi particolarmente intense, che esaltano le atmosfere della festa e dei boschi percorsi dal protagonista.

Il giuramento di Pamfir img 3 beppe e chiara
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