ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

[SPECIALE] IL SOL DELL’AVVENIRE | Moretti non si arrende: il cinema deve vivere

Regia: Nanni Moretti

Anno: 2023

Produzione: Italia

una recensione a cura di Deborah Gallo

“Lontano, lontano nel tempo” cantava Tenco, come quel cinema per cui Nanni Moretti sembra provare profonda nostalgia, seppur messa in scena, come sempre, in maniera ironica. Sì, perché mentre guardiamo Il sol dell’avvenire camminiamo in bilico tra la rievocazione beffarda del disgusto per i sabot (assolutamente morettiano) e il ricordo struggente della madre del regista, che cita diverse volte nel film.

Così come François Truffaut in Effetto notte interpretava se stesso mentre tenta di portare a termine una pellicola nata sotto i peggiori auspici, Moretti ne Il sol dell’avvenire impersonifica Giovanni, anch’egli regista, impegnato a girare un film intriso d’infinite problematiche. Il cinema di oggi sembra essere sospeso — ci comunica il co-produttore — come sul trapezio di un circo, in aria, e pare che nessuno possa sapere quale sarà la sorte che lo attende. I toni della pellicola, infatti, sono piuttosto critici e malinconici e, a tratti, celano una sfiducia nella cinematografia odierna. I film di oggi per Giovanni — e Moretti — sono rappresentanti di una violenza idealizzata, priva di consistenza e significato; superficiale e fine a se stessa, che induce lo spettatore ad adulare la ferocia, la crudeltà, invece che allontanarlo da quello stereotipo di comportamento brutale.

Ma Giovanni non si arrende e nonostante le difficoltà tenta, con caparbietà, di portare a termine il suo lavoro. È proprio nella rappresentazione di tale ostinazione che è ritratto, in maniera chiara e impetuosa, l’amore smisurato di Moretti per il cinema.

Un cinema atto a mandare un messaggio accurato, evidente; mai fine a se stesso, sempre pronto a trasmettere allo spettatore — a volte anche imponendosi — un’ideologia inequivocabile, un pensiero preciso, netto ed esplicito.

Battiato, De André, Tenco permeano la pellicola di un sentimento nostalgico; una sensazione di tristezza e, al contempo, di felicità. Nanni Moretti la sente tutta la malinconia dell’Italia del passato, quella che andava al cinema a vedere La dolce vita di Fellini. Ma è l’ostinazione a fare da padrona; la caparbietà con la quale Nanni prova, ancora una volta, a creare un prodotto valido, che possa indurre l’Italia di oggi a tornare al cinema, a non abbandonare la sala, le sedie rosse e il grande schermo nero. Il segreto è riposto nella danza di gruppo che, ogni volta, prende piede dopo le parole Ciak, Azione. Esse non sono altro che sinonimo di felicità, rappresentazione massima del momento essenziale: quello in cui si dà inizio al film, si colora la pellicola di fotogrammi, prende vita la creazione.

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