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LA CHIMERA | C’è del film in questa poesia

Regia: Alice Rohrwacher
Anno: 2023
Produzione: Italia, Francia, Svizzera

una recensione a cura di Elena Pacca

Volano gli uccelli volano
Nello spazio tra le nuvole
Con le regole assegnate
A questa parte di universo
Al nostro sistema solare

Aprono le ali
Scendono in picchiata, atterrano
Meglio di aeroplani
Cambiano le prospettive al mondo
Voli imprevedibili ed ascese velocissime
Traiettorie impercettibili
Codici di geometrie esistenziali

 

[Franco Battiato]

Dopo Lazzaro felice, un altro straordinario personaggio maschile cui si affiancano – anch’esse protagoniste – quattro figure femminili, divinità terrene di un mondo obliquo, a tratti nascosto, ma che esce prepotentemente dalle tenebre quando viene alla luce.

Arthur/Josh O’Connor è un tipo alto, dinoccolato, stropicciato ma elegantissimo nel suo completo di lino chiaro anche quando si sporca e si gualcisce, che si dirige verso una ritrovata libertà dopo aver trascorso un periodo in carcere. Apparentemente senza radici, ha un accento particolare, è chiamato lo straniero, forse è inglese, viene da lontano. E c’è la sua famiglia elettiva di tombaroli nel territorio che sovrasta – annichilendolo con i suoi mostri fiammeggianti, le industrie siderurgiche, il degrado, la povertà, l’arte di arrangiarsi, le baracche in lamiera – l’area nobile e frastagliata di un popolo, gli etruschi, sotterrato dalla polvere del tempo e dall’oblio dei più. Rabdomante delle anime morte, pare avere un potere unico e inspiegabile nell’individuare i punti precisi in cui scavare, violare il sonno tombale di chi vi giace da secoli e trovare i manufatti lasciati in viatico per il viaggio nel mondo ultraterreno. Anfore, piatti, oggetti ornamentali, statuine. Una strampalata compagnia di giro di pasoliniana memoria lo segue speranzoso perché è solo grazie a lui che tutti possono ambire a un guadagno per quanto illecito e abbandonarsi a un sogno di improvvisa ricchezza. E’ un mondo cui non siamo abituati a volgere lo sguardo. E’ un mondo di provincia reclusa nel suo essere un passo indietro coi tempi e comunque ambita da chi non pensa che a sfruttarne le potenzialità nascoste, avvalendosi di poveracci cui lasciare le briciole di traffici e affari ben più importanti e a lunga gittata, dove il passato viene profanato e saccheggiato per mero profitto.

La chimera img 1 elena

Riannodato in un tempo lungo giorni che potrebbero essere anche solo la dilatazione di uno lunghissimo è un excursus spazio temporale in cui ognuno segue una sua chimera, irretito dal proprio anelito di felicità, quale che sia il modo in cui è declinata, in una continua dialettica fra mondo dei vivi e mondo dei morti, fra aldilà e al di qua, in un transito perpetuo e labile, in cui ciascuno vi legge ciò che crede. Chi un’opportunità, chi un riscatto, chi la speranza di un ricongiungimento, chi nulla perché è già altrove.

C’è Flora un’Isabella Rossellini un po’ bohémienne il cui volto è solcato da tracce di un passato antico e generoso, incuneato in un presente di attesa per Beniamina, quella figlia prediletta che pare non giungere mai, ma per la quale si deve predisporre il meglio, l’unica non predatrice a differenza delle altre sorelle avide e rapaci che l’hanno lasciata sola nella grande e ormai decadente dimora familiare.

C’è Beniamina appunto, che, baciata dal sole è creatura eterea, delicata e fulva fanciulla in fiore, che pare discendere dalla Miranda di Picnic a Hanging Rock, presenza evanescente che si muove leggiadra e afferra un filo di lana rosso, sempre lo stesso, volgendo lo sguardo in camera come a domandarci qualcosa, a chiedersi un perché.

C’è Italia/Carol Duarte, presunta allieva di canto di Flora in realtà domestica tuttofare che nasconde un segreto tra le tante stanze della villa, per il quale verrà cacciata, figurina vivace e felice a suo modo, una concreta e sognatrice Amelie che si costruisce il suo mondo favoloso sgranando gli occhi senza leziosaggine e attentati al picco glicemico, unica ad aver rispetto verso chi non può più esprimere la propria voce e che approderà a una stazione ferroviaria dismessa restituendo presenza e valore a quelle antiche mura e ridando vita vera a quel binario morto.

C’è una dea statuaria e levigata, turbata nel suo silente e sotterraneo vivere al riparo da occhi indiscreti e voraci, sino a quando verrà strappata dalla sua quiete e dal suo corpo, per poi tornare alla sua natura dimenticata, immersa negli abissi del tempo.

La chimera img 2 elena

Arthur è il filo conduttore di tutte le storie. È lui che unisce tutto e tutti, come quelle lavagne in sughero dei telefilm polizieschi su cui sono appuntati i nomi e i volti dei sospetti e c’è un filo che si dipana e li collega. Perennemente in bilico, come un funambolo maldestro sembra egli stesso camminare su un invisibile filo teso sul suo percorso che lo fa barcollare, inciampare, tornare sui suoi passi, rischiare di perdere l’equilibrio. Di pochissime parole, affida al non detto il suo sentire, i suoi stati d’animo e il suo incedere verso un destino che pare non avere una direzione precisa, a volte pare una bussola impazzita, un depistaggio emozionale.

Ci sono i cambi di prospettiva visuale che ci fanno capovolgere lo sguardo o ci fanno stare al di sotto delle cose. Un’ottica diversa che mi ricorda un gioco che facevo da bambina, nella mia stanza, sdraiata nel letto prima di addormentarmi, guardando il soffitto che diventava pavimento e per uscire dalla stanza si doveva scavalcare la porta.

Noi viviamo per stratificazioni successive. Ogni era ha calpestato e aggiunto qualcosa a ciò che stava sotto. Sino a che il sotto è scomparso sotto a qualcos’altro e se ne è persa traccia. Sino a che gli archeologi non hanno messo mano a scavi e ricerche. O ai tombaroli, i predatori di un’anfora perduta, interessati solo al denaro, poco, maledetto e subito. Ma c’è un mondo ancora sommerso che giace nella notte dei tempi e ci guarda, ci osserva, ci ascolta. E talvolta, come nel caso di Arthur, ci chiama, un lontanissimo e impercettibile ai più, canto delle sirene, che fa vibrare quel bastoncino da rabdomante, che ci seduce sino forse a farci varcare quella soglia, seguendo un filo nascosto, inghiottendoci in un oblio condiviso e forse meno solitario di quanto si pensi.

C’è la mano felice di Alice Rohrwacher che senza leziosità alcuna realizza un’opera fatta della materia dei sogni, in equilibrio costante sul filo di un romanzo che potrebbe contemplare l’amore, e lo frantuma in schegge di rimpianto per noi che non riusciamo però ad esser tristi per un destino che si compie in modo obliquo, fuori dai canoni, destinato un giorno, chissà, scavando con i picconi o a mani nude, a riemergere dalla terra, procurando un brivido di bellezza a chi lo troverà immaginando mondi che non sa.

La chimera img 3 elena
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