Regia: Zavvo Nicolosi
Anno: 2023
Produzione: Italia
una recensione a cura di Elena Pacca
La Sicilia, il mito, l’amicizia, una gara contro il tempo, l’improbabilità come fulcro di un narrare strambo, surreale, alla ricerca di qualcosa ma non si sa bene cosa. Colapesce (e) Dimartino, sono figurette ieratiche – in vezzo di pupi narranti – statiche o movimentate e in contrasto fra loro, imbroncioso l’uno, paciserafico l’altro, anche cromaticamente: al candore latteo alla Bee Gees di Dimartino fa da contraltare il florilegio cromatico di Colapesce, il tutto a mezzo fra il Bill Murray stralunato e perplesso di Broken Flowers e l’accolita di personaggi stravaganti destinazione India di Wes Anderson. Si divertono, per non sentire il peso delle aspettative, cimentandosi in un road movie anomalo e approssimato, un Trinacria coast to coast, a bordo di “Lazzaro”, immortale Ford Taunus arancione Tarocco di Sicilia che solca paesaggi assolati e campi sconfinati, indomita e (quasi) invincibile. Una galleria di siparietti fugaci, di battute esilaranti e di freddure a denti stretti capaci di generare un silenzio assordante. I giganti della montagna, re Artù a sorvegliare le pendici dell’Etna, le radici messinesi di William (Guglielmo) Shakespeare (Scrollalancia), la teiera più grande del mondo (come le tante inutili e insulse cose da primato che “illuminano” gli altrettanti sperduti villaggi degli Stati Uniti dal New England al Midwest). Un film rarefatto, imperfetto, frutto di accelerazioni e rallentamenti improvvisi, fotogrammi memori di Luigi Ghirri, improvvide panne automobilistiche e ripensamenti, cambi d’abito e contratti inesistenti, pirati fortunati e avide suore, pastori votati al casting di gregge e immarcescibili seguaci dei Doors e la palpabile onnipresenza dei Semeniti. Un’immersione delicata e folgorante in un mondo abbruttito, ma dove trova pure spazio anche un mandorlo in fiore. Splash!