ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

LICORICE PIZZA | Correre, correre

Regia: Paul Thomas Anderson

Anno: 2021

Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Tiziana Garneri

Un film molto altmaniano, che ci ricorda la vitalità di Nashville.
Dove correre, correre, correre – come corrono i ragazzi nella loro giovanile incoscienza, pieni di energia verso il futuro, verso l’amore, così come corre il ritmo del film – pare essere il fulcro attorno a cui il regista costruisce la sua opera.

Correre verso il sogno americano nella San Fernando Valley del 1973, ove tutto pare possibile e il clima è quello di un’estate in apparenza senza fine, come se la crisi petrolifera, I’eco della guerra in Vietnam e il crepuscolo di una Hollywood classica, fossero percepite solo su uno sfondo lontano.
Licorice Pizza, il titolo del film (già di per sé uno strambo abbinamento), deriva dal nome di una catena di negozi musicali, che ha chiuso i battenti alcuni anni fa.

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E’ uno slang caro agli appassionati a quei famosi “padelloni” particolarmente cari al regista e alla sua adolescenza e a tutti quelli che si pascevano della musica anni ’70. Infatti quella musica permea ogni immagine, suscitando sensazioni sovente nostalgiche. Come un vinile che gira incessantemente sul piatto, riportando il regista e lo spettatore che giovane non è più, a rivivere momenti, sensazioni, emozioni con una punta di malinconia. In una sceneggiatura assai frammentata, con episodi comunque godibili di per sé, fatta di ellissi assurde e di eventi improbabili (come la ditta di letti ad acqua o la sala giochi di flipper), si inserisce la storia di due ragazzi e dei loro amici.
Facciamo la conoscenza del brufoloso quindicenne Gary Valentine (interpretato dal figlio d’arte Cooper Hofmann) invaghito della venticinquenne Alana Kane (interpretata dalla pop star Alana Haim).
Gary incarna lo spirito imprenditoriale di un giovane americano, aperto ad ogni opportunità, anche se avendo iniziato come baby attore vorrebbe sfondare nel mondo dello spettacolo.

Alana, venticinquenne aiuto fotografa, è assai più inquadrata. Proviene da una famiglia yiddish, legata alla tradizione (ne è un esempio la scena familiare dello Shabbat), ma assai curiosa, un po’ frenata dalla differenza di età, ma in fondo desiderosa di seguire Gary nelle sue imprese a volte demenziali.
I due personaggi si rincorrono, non sanno neppure che tipo di attrazione è la loro, si lasciano, si cercano, ma come canta Nina Simone “il vero amore fiorisce perché il mondo possa vederlo”.
Un film giovane, fresco, leggero, ottimista, dove per una volta non ci vengono propinate le solite sparatorie e gli spargimenti di sangue .

E voglio ricordare una piccola parte (una sorta di cameo), interpretata come al solito da quel consumato attore qual è Sean Penn, qui nei panni di un motociclista sbronzo e spericolato che fa una acrobazia su un campo da golf.

In sintesi, il film mi pare la messa in scena di una storia d’amore dei due protagonisti, suggellata dal fatidico bacio dinanzi al Licorice Pizza. Ma forse è anche molto di più.
È la messa in scena dell’America stessa, il mito dell’America di quegli anni che ci costringe inevitabilmente a confrontarci con l’America di oggi e in generale con l’Occidente. Un’America che è ora così diversa e cupa, dove gli slanci e gli entusiasmi di un tempo sembrano sopiti.
I giovani d’oggi, nel loro individualismo, sono ancora capaci di innamorarsi? Sicuramente non guardano al loro futuro con ottimismo e speranza. Non corrono più, i loro rapporti appaiono forse più difficili, sicuramente diversi, a volte per noi incomprensibili, mediati come sono dallo schermo di un pc o dalla tastiera di un cellulare.

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