[LOVERS FILM FESTIVAL 2024] RILEY | I turbamenti del giovane Player

Calza a pennello (again!) una nota di Infinite Jest di David Foster Wallace quando descrive il football americano e le sue dinamiche interpersonali: un balletto di grugniti e schianti di omoerotismo represso. Lo sradicamento mediante una maschera della personalità facciale, l’enfasi sul contatto anziché sul non contatto. Dakota Riley è allenato dal suo stesso padre ex mitico giocatore che però ha dovuto interrompere presto la carriera, preservando l’avvenire agonistico del figlio dal dover ingaggiare un’eterna lotta al primato su chi sia meglio di chi. L’ambiente muscolare è impregnato di machismo esibito in cui le ragazze si collocano a metà fra il romance di stampo Grease e il record di tacche da vantare come curriculum prestazionale fra i ragazzi. Ma sotto la superficie ribolle un’omosessualità più o meno latente che il cameratismo forzato sembra sotteraneamente incoraggiare, nonostante lo stigma sbandierato nei confronti di chi ha deciso di non nascondersi e dunque di essere ciò che si è. La scelta, la capacità di affrontarne le conseguenze, i timori di deludere chi ha un’altra visione di te, il desiderio lacerante di soddisfare le aspettative e quello di buttare tutto all’aria per viversi senza il timore che un banale algoritmo riveli le tue preferenze agli occhi di chi sa che ciò che viene proposto random sullo scrolling del telefono, così casuale non è. Il volto luminosamente cangiante di Jake Holley (Timothée spostati!) ben interpreta i moti tumultuosi e l’inquietudine adolescenziale di chi è tirato da più parti, in cui la razionalità deve fare i conti con l’istinto di mettersi alla prova per capire e trovare una strada. Così come la descrizione di un ambiente asfittico, permeato di ambizione e sogni programmati, che, come un reticolato, fissano il perimetro di un rettangolo di gioco – che poi è la vita stessa – da cui parrebbe impossibile evadere ed essere la migliore versione di noi stessi. Quantomeno la più vera.