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MAESTRO | Intimità di un genio della musica

Regia: Bradley Cooper

Anno: 2023

Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Incastonata all’interno di un’intervista in cui un anziano Leonard Bernstein parla della sua vita e rievoca la figura della moglie, scorre la narrazione del film Maestro: gli anni dei primi successi in un bianco e nero con lo stile dei musical dell’epoca e poi il passaggio al colore per la rievocazione del periodo più maturo del direttore e musicista, con regia e inquadrature tipiche degli anni settanta. Il tutto ricorrendo ad uno schermo in 4:3 tornato in auge negli ultimi tempi, a cui si sottraggono le sole immagini relative alla già citata intervista.

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Ma di cosa ci sta parlando il regista Bradley Cooper, autore – insieme a Josh Singer – del soggetto e della sceneggiatura? Nonostante il film narri una parte consistente della vita del grande direttore d’orchestra e compositore, l’intento non sembra affatto essere quello di raccontarne in modo completo la biografia, quanto piuttosto accendere i riflettori su alcuni aspetti che probabilmente risuonano più di altri con la sensibilità del regista/sceneggiatore, mettendone in secondo piano – o addirittura omettendone – altri.

Dalla narrazione emerge con forza la figura di un musicista dalla grandissima vitalità e concentrazione, teso nel costante sforzo – dichiarato sin dal primo incontro con la futura moglie – di riassumere in sé diversi aspetti, anche molto eterogenei fra loro, che derivano sia dal suo spirito artistico, sia dall’essere un immigrato di seconda generazione di una famiglia di ebrei dell’Ucraina occidentale, da cui discendevano influssi culturali assai variegati. Di tutto questo, però, Cooper non sottolinea, come ci saremmo potuti aspettare, la geniale poliedricità di un musicista completo che è stato compositore, direttore d’orchestra e pianista e che si è dedicato a generi molto diversi tra loro, ma ci presenta – invece – un quadro molto più intimo. In particolare, il regista approfondisce il rapporto di grande affetto con la moglie Felicia Montealegre (Carey Mulligan) accompagnato ad ogni passo – però – dall’attrazione verso altri uomini, espressa da Bernstein con grande naturalezza e senza mascheramenti come raccontato nel film, cosa che può far sorgere qualche perplessità sul suo possibile realismo in un’epoca e una società dove l’omosessualità era ancora un importante tabù, anche per personaggi importanti come Bernstein.

La scelta narrativa è particolarmente felice nella prima parte dell’opera, dove una serie di veloci quadri e la musica sullo sfondo rievocano i primi anni di carriera e il rapporto intenso ma anche complesso con la futura moglie, lasciando alla musica sullo sfondo il compito di illustrare il percorso artistico. Lascia qualche dubbio in più la seconda parte, a colori, che approfondisce la vita della coppia in una fase più matura, in cui emergono le difficoltà dovute alle relazioni omosessuali del compositore e, in seguito, alla malattia della moglie. In questa parte, alcune semplificazioni nonché omissioni – si pensi alla militanza di sinistra di Bernstein e al suo appoggio al movimento delle Pantere Nere che gli valse la definizione di nuovo conio di “radical chic” – fanno risultare un po’ angusta la scelta di focalizzarsi sul rapporto di coppia, anche se forse questa è più vicina alle corde del regista, pensando al suo esordio dietro la macchina da presa con il film A Star is Born del 2018.

Nonostante ciò, è proprio questa parte ad essere impreziosita dall’ottima recitazione di Carey Mulligan, il cui registro tenero, sensibile e un po’ triste si adatta perfettamente alla narrazione. Bravo anche Bradley Cooper che porta con naturalezza l’impegnativo trucco prostetico che lo rende davvero molto simile al compositore. Un film, quindi, ben recitato e con interessanti scelte di regia ma che, forse, dà un’immagine un po’ troppo riduttiva della personalità artistica rappresentata.

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