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UNA DONNA CHIAMATA MAIXABEL | Se consideri le colpe

Titolo originale: Maixabel

Regia: Icíar Bollaín
Anno: 2021
Produzione: Spagna

una recensione a cura di Elena Pacca

Maixabel: preferisco essere la vedova di Juan María che tua madre.
Ibón: preferirei essere Juan María che Ibón Etxezarreta.

C’è un tempo per uccidere e un tempo per guarire. C’è chi il tempo non lo ha più. Sottratto bruscamente da un attentato di cui si è vittima e poi memoria storica se il delitto non è un delitto comune ma un delitto politico. C’è chi si prende tempo, un altro tempo, dopo che quello coniugale è venuto a mancare, per prendere coscienza di un legame giocoforza indissolubile, quello fra vittime e carnefici che può, se si vuole trovare un terreno comune, se non cancellare almeno mutuare a proprio favore quello che resta della vita di ciascuno. Juan María Jáuregui ex governatore civile, membro prima del Partito Comunista Basco, poi del Partito Comunista Spagnolo e infine del Partito Socialista Operaio Spagnolo, marito di Maixabel Lasa viene ucciso nell’estate del 2000 a Tolone nei Paesi Baschi da un commando dell’Eta (Euskadi Ta Askatasuna/Paese basco e libertà) composto da giovani che nemmeno conoscono l’obiettivo da eliminare.

Maixabel img 1 elena

È un nome. Uno fra tanti. Undici anni dopo, il programma di pacificazione messo in atto dal governo spagnolo a seguito della deposizione delle armi da parte dell’Eta, promuove e permette l’incontro dei detenuti con i familiari delle proprie vittime sotto l’assistenza di uno psicologo. I colloqui drammatici, difficoltosi e dolorosi per entrambi sono rappresentati senza enfasi, patetismi o effetti atti a spingere il tasto della commozione facile. C’è asciuttezza, discrezione di sguardo, pur essendo lo sguardo, o meglio gli sguardi che intercorrono fra Maixabel Lasa/Blanca Portillo e Ibón Etxezarreta/ Luis Tosar, la voce potente, disarmante ed autentica di ciò che le parole non dicono, il tramite muto al tumulto di pensieri, rabbia, disperazione e ricordo che attraversano lo spettro di emozioni contrastanti come nuvole che scorrono davanti al sole oscurando repentinamente l’iride per poi abbagliare nuovamente in un gioco continuo di luci e ombre, quale è in fondo la storia di un gruppo di persone che ha creduto di lottare per la libertà, l’eguaglianza e la giustizia e si è poi accorto, pagando sulla propria pelle, di essere stato manipolato, usato, costretto ad abitare l’inferno di una dannazione doppia, quella di chi quella violenza l’ha subita, direttamente o indirettamente e da chi li considera dei traditori che non meritano né pietà né rispetto.

Maixabel img 2 elena

Maixabel Lasa diventata promotrice del dialogo si assume il fardello di un’altra dannazione, quella di essere vittima sì e, al contempo colei che apre una breccia per far sì che quella dannazione non sia un fine pena mai, ma, al contrario, la possibilità di una redenzione laica poiché tutti meritano una seconda opportunità, in grado di far nascere non pentitismi di comodo, ma consapevolezza ed espiazione. Il film tiene assai bene la tensione dialettica fra colpa e perdono, senza scadere nell’ambiguità, nel giustificazionismo o nell’edulcorazione degli eventi, in un confronto serrato tra vittima e carnefice, portato avanti con la tenacia e la caparbietà di voler arrivare fino in fondo, entrambi convinti della propria scelta anche quando non condivisa o compresa. La scena finale sancisce la vittoria se così possiamo chiamarla, in grado di abbattere scetticismo e sofferenza, in un metaforico abbraccio che non cancella tutto il dolore subito ma lo riscatta in un’ipotesi di futuro migliore, perché c’è un tempo per demolire e uno per costruire foss’anche un sentimento nuovo, nemmeno lontanamente immaginabile quando una mano armata puntò senza rimpianto dritto alla testa di un uomo perbene.

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