Titolo Originale: Gi-juk
Regia: Jang-Hoon Lee
Anno: 2021
Produzione: Corea del Sud
una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva
Miracle di Jang Hoon Lee è una commedia sentimentale ambientata in Corea del Sud, con al centro della narrazione un piccolo paese di provincia e i suoi abitanti. Il borgo ha come unica via di comunicazione con il resto del paese una linea ferroviaria di secondaria importanza i cui treni, però, passano dritto, poiché non è mai stata costruita una stazione in cui possano fermarsi. Gli abitanti sono costretti a camminare lungo il binario per raggiungere la più vicina stazione, non avendo a disposizione null’altro per uscire dal villaggio. Un cammino estremamente pericoloso poiché prevede il passaggio in alcuni tunnel e, soprattutto, l’attraversamento di un ponte altissimo e privo di protezioni, in cui nella parte centrale esiste un piccolo disimpegno di servizio ove rifugiarsi in caso di passaggio di un convoglio.
In paese abita Joon-kyeong (Jung-min Park), un ragazzo estremamente dotato in matematica, orfano della madre morta di parto alla sua nascita. Vive lì con il padre ferroviere e la sorella di qualche anno più grande di lui. È un ragazzo schivo e piuttosto taciturno, il cui sogno è la costruzione di una piccola stazione dove il treno possa finalmente sostare. Complessato e gravato da qualche difficoltà nelle relazioni con i propri coetanei, ha come unico punto di riferimento la sorella, con la quale si confida più facilmente. Parla poco, invece, con un padre che ha nel lavoro e nel senso del dovere quasi confuciano le sue stelle polari.
Qualcosa non torna, però, nel ménage famigliare, anche se gli indizi disseminati non sono sufficienti per focalizzare il perché. Tutto si chiarirà a partire da metà film, quando molti dettagli troveranno una collocazione coerente.
Il cinema coreano si caratterizza ormai da tempo per una vasta produzione cinematografica che tocca i generi più diversi: film d’autore, blockbuster serie televisive che ci consegnano l’immagine di un paese con forti contrasti e grande disparità economica. Molte di queste opere si segnalano per la presenza di una forte componente violenta talvolta bilanciata da una vena ironica, che – in altri casi – è totalmente assente.
Miracle, invece, è una produzione di buoni sentimenti che talvolta indugia un po’ troppo su un sentimentalismo melenso in cui la recitazione orientale un po’ “sopra le righe” ha la meglio su tutto il resto, pur confermandosi la presenza di una certa ironia e il tema della disparità sociale, declinata nella differenza tra le zone rurali più remote e la città.
Interessante è porlo a confronto con Le buone stelle – Broker di Kore’eda, film coreano girato dal noto regista giapponese, anch’esso caratterizzato da buoni sentimenti e da un finale tutto sommato positivo. Entrambe le opere danno l’idea di un investimento dell’industria cinematografica locale teso a dare una visione più positiva del paese, in cui le disparità sociali sono certamente presenti ma attenuate da un’immagine più solidaristica della società. Ambedue i film fanno pensare, però, ad una sorta di New Deal in salsa coreana incentrato più sull’obiettivo programmatico di migliorare l’immagine all’estero della Corea invece che sull’infondere un maggior ottimismo nei cittadini e far leva sulle loro doti di resilienza come nell’America Roosveltiana.