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NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE | La perpetua schizofrenia umana

Titolo originale: Im Westen nichts Neues

Regia: Edward Berger

Anno: 2022

Produzione: Germania

una recensione a cura di Tiziana Garneri

Questo film disponibile su Netflix è talmente attuale da essere ribadito in pieno dal conflitto russo ucraino, che ci dice che all’orizzonte non vi è nulla di nuovo.
Passano i secoli, ma la guerra è per gli uomini come il canto delle sirene di Ulisse.
Anche se solitamente le guerre non portano niente, se non il carico di morte, di dolore e di distruzione fisica e psichica, e poi sono seguite dal gusto di ricostruire come si fa con i blocchetti del lego. La guerra è un folle “divertimento” a cui la bestia umana non sa resistere.

Non mi dilungo sul messaggio pacifista di questo film, premiato con sette premi BAFTA e candidato all’Oscar 2023. Peraltro esso non tocca temi nuovi, in quanto già esplorati in Salvate il soldato Ryan o in Fury, tanto per fare qualche esempio.
O da Kubrick in Orizzonti di gloria: vedi il richiamo dei giovani mandati a morire come carne da macello e le alte sfere che discutono di guerra in bei salotti confortevoli, tra “brioche non molto fresche”, calici di vino e sigari di pregio.

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Eppure, anche facendo la tara, questo è un film molto immersivo, dove gli attori non danno l’idea di fare una messa in scena, bensì danno realmente la sensazione di vivere quella situazione, una sensazione che può pervadere anche lo spettatore, a patto che regga la crudezza e il realismo di certe immagini.

Berger, l’autore, non si è risparmiato. Da notare che è un regista tedesco che parla di soldati tedeschi, una cosa inusuale. Oltre agli attori, addestrati fisicamente, vi è un numero impressionante di comparse, un set vicino a Praga largo come 63 campi di calcio poter per riprendere in tutti i modi ì combattimenti, 250 km di trincee costruite, pozze di acqua e fango, ammassi di cumuli di cadaveri in silicone dipinti col colore del sangue, sfregiati, amputati… a cui si deve aggiungere una schiera di costumiste costantemente all’opera, che danno a questo lavoro l’aspetto di un kolossal.

Ma non è tanto l’aspetto di ricostruzione storica dell’ultima fase della Grande Guerra, quando i tedeschi vogliono conquistare Parigi, che interessa ai registi, quanto piuttosto l’esplorazione dei cambiamenti psicologici di questi giovani quando rendono conto di essere stati mandati a morire.

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Noi spettatori ci immedesimiamo nella figura di Paul Baumer/Felix Kamerer coinvolto in una una superba interpretazione, supportato dall’amico Albrecht Schuch, un giovane tedesco indottrinato dalla propaganda come i suoi amici, che parte baldanzoso convinto di portare onore alla patria, ma ignaro che la sua vita di trincea si svolgerà al freddo, al buio, con poco cibo, in mezzo ai cadaveri che si calpestano, correndo per tentare di sfuggire al fuoco nemico, scivolando nel fango o nelle pozze di sangue, perdendo gli amici più cari. E dovendo uccidere per non essere uccisi, magari tra le lacrime perché uccidi un tuo coetaneo che ha il solo difetto di portare la casacca francese anziché quella tedesca.

Il tutto è supportato dalla ottima fotografia di James Friend, sia nei campi lunghi che nei primi piani. In primis quello di Paul, che da sorridente, sotto il fango che tutto lo ricopre, diventa una maschera di dolore e orrore, quando realizza che l’umanità ha lasciato posto alla bestialità, dove la speranza di salvarsi, anche se arrivano notizie che i tedeschi hanno chiesto l’armistizio ai francesi per la clamorosa debacle, è sempre più flebile. Ed egli morirà con questa consapevolezza. 
Ottima è anche la musica di Volker Bertelmann, cosi minimalista e ruvida al tempo stesso, metallica a tratti. Un film durissimo da vedere, nel suo perfetto mix di realismo e crudezza, e che forse non tutti gli spettatori sono in grado di reggere. 
Ma la guerra è proprio ciò che per 127 minuti avvolge e ci penetra.

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