ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

NOSTALGIA | Ricordi e sentimento

Regia: Mario Martone

Anno: 2022

Produzione: Italia, Francia

una recensione a cura di Tiziana Garneri

Mario Martone, regista cinematografico, teatrale e sceneggiatore, a partire dal bellissimo Morte di un matematico napoletano del 1992 continua a raccontarci della sua Napoli, città che conosce e ama profondamente.
Ci parla di Felice (da adulto: Pierfrancesco Favino), che da scugnizzo aveva vissuto nel Rione Sanità, passandovi infanzia e adolescenza, commettendo bravate, piccoli crimini, furtarelli, scorrazzando sul motorino con l’amico fraterno Oreste (da adulto: Tommaso Ragno)

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A seguito di un furto in una casa apparentemente deserta, Felice e Oreste si erano trovati dinanzi al proprietario, che Oreste aveva ucciso colpendolo alla testa.
Il caso fu archiviato, non individuatosi il colpevole. Le strade dei due giovani si erano divise.
Perché, come dice Martone, a Napoli o si va via o si diventa camorristi.
Felice, infatti, emigra all’estero: Libano, Sud Africa, Egitto, al Cairo, dove impianta una fiorente attività, vivendo in una bella casa con una bella moglie.
Oreste invece diventa O’ Malommo, feroce e temuto camorrista latitante, continuando a vivere in Rione Sanità, protetto dalla sua banda, uscendo la notte tutto vestito di nero come un fantasma, perseguendo la strada del crimine.
Dopo quarant’anni Felice torna a Napoli per vedere un’ultima volta la vecchia madre, accudendola con amore sino alla morte.
Espletata questa incombenza, qualcosa gli impedisce di tornare al Cairo…
Inizia a girovagare per Napoli, riscoprendo angoli mai dimenticati, cristallizzati nei ricordi, con stupore e piacere ritrovando le sue radici e parti di sé. Napoli non è poi così diversa dal Cairo, pensa.
Favino è un ottimo attore nel renderci partecipi dei moti del suo animo, ove il passato riaffiora prepotente, nei suoi colori smaglianti come una sirena che lo paralizza.
Ha imparato l’arabo, si è convertito alla religione islamica, ma Napoli è magica nel far riaffiorare la parlata napoletana, all’inizio stentata, via via più fluida, perché anche la lingua è cristallizzata nel suo cuore. Un po’ timoroso all’ inizio, egli riprende a bere il vino e chiacchiera volentieri col prete.
Notevole è la fotografia di Paolo Carnera nell’inquadrare squarci della Napoli verace, coi suoi vicoli stretti, le case fatiscenti, la biancheria stesa: la città non solo la vediamo, ma sentiamo il rombo dei motorini, quasi ne percepiamo gli odori.
La Napoli che “sta sopra” e quella che “sta sotto”, delle catacombe e della “valle dei morti”. Sia nelle riprese diurne sia in quelle notturne, quasi inquietanti, è bellissima.
Felice percorre lentamente le strade del suo rione, assaporando ogni particolare.
Il rione è posto pericoloso, una sorta di far west, è imprudente addentrarvisi.
“Chi non si è perso, non si possiede”: la coscienza sta nella nostalgia, ci ricorda Pasolini nell’esergo del film.

In Felice il richiamo della città è così forte al punto da voler acquistar casa e trasferirsi. Ma quando parla della sua passata amicizia con Oreste, anche col prete, la risposta è sempre un “vatténne! Non è posto per te vivere qui, troppo pericoloso”.

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Questo, tuttavia, non è solo un film sulla nostalgia, ma anche sull’amicizia.
Almeno per Felice, che non ha mai dimenticato l’amico. Lo dimostra una foto scolorita e spiegazzata che tiene nel portafoglio e che ritrae i due amici sullo stesso motorino. Il desiderio di rivederlo è così forte che seppure aleggi sempre il “vatténne!”, Felice ottiene di incontrarlo.
Oreste è molto invecchiato, i capelli bianchi, un pallido ricordo di quel ragazzone biondo che faceva con lui scorribande.
“Vatténne” si sente dire ancora una volta, un tentativo che ha qualcosa di umanità per risparmiargli la vita. Per Felice i sentimenti non sono cambiati, forse vuole scusarsi della sua vigliaccheria per essere scappato, lasciando l’altro solo, anche se il caso è stato archiviato in ritagli polverosi di vecchi giornali, per Oreste non è così.
Egli si è sentito tradito e per il tradimento non vi è pietà. Un abisso li divide. La vita li ha forgiati diversamente. Felice si rifiuta di comprendere. Torna al rione Sanità, ove in una notte coi vicoli mal illuminati, muore per mano di Oreste, che ritrova quella foto sbiadita e sgualcita di due ragazzi che scorrazzavano su un motorino.
Nostalgia è un film semplice ma pieno di umanità, ove il regista scandaglia con minuzia sensazioni e sentimenti, senza scadere nel melodramma o nello scontato. Ove presente e passato dentro l’animo si confondono. Dove, a mio modesto parere, solo un regista napoletano può creare così bene una certa atmosfera, ricreando il fascino di un’intera città, con le sue luci e le sue ombre.

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