PARIGI, 13ARR. | Je t’aime, moi non plus

Se I 400 colpi si aprivano sul bianco e nero di una Parigi iconica, riconoscibile, con la Tour Eiffel a far da perno al compasso emotivo, l’ultimo film di Audiard si apre con un volo a planare sul quartiere Les Olympiades (13° Arrondissement), realizzato fra il 1969 e il 1977, noto a chi abita la città, ma sconosciuto ai più. La città rappresentata da Audiard non è amica, non dà spazio al romanticismo, non indulge in aperture di credito alla consolazione di chi è affranto.
Le geometrie urbanistiche schematiche e prive di virtuosismi, le pensiline come un pattern ripetibile all’infinito, sono il prologo di quell’architettura sentimentale che andrà sviluppandosi fra i protagonisti, un ragazzo e tre ragazze. Come in Shortbus di J.C. Mitchell, immediatamente, precipitiamo dentro uno dei tanti tantissimi appartamenti illuminati, così uguali e così diversi e ci imbattiamo nei primi due personaggi Émilie e Camille che compongono insieme a Nora e Louise/Amber Sweet, il quartetto principale del film.
La messa a nudo dei protagonisti – letterale e non – è un viaggio accelerato fra speranze, disillusioni, affetti mancati, priorità, elaborazione del lutto, amplessi meccanici e reiterati con soggetti diversi, durevoli lo spazio di un “coprimi per una mezz’ora” sussurrato alla collega cameriera mentre si corre a casa ad aspettare l’ennesimo incontro one shot, o chi vende prestazioni erotiche dietro una webcam, per soddisfare vuoti a perdere esistenziali propri e altrui. Al di là di alcune forzature – la conclusione della storia fra Nora e Amber Sweet e gli sghignazzi nell’aula universitaria, una sensazione quasi respingente di disagio, un prolungato senso di amarezza, di brivido freddo, rimangono appiccicati addosso nonostante quel duplice gracchiare del citofono che, alla fine, sussurra e grida parole forse d’amore.