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Scambio di copia #2

Salvatore D’Alessio & Francesca Schipa

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Io venìa pien d’angoscia a rimirarti, Michele Mari, Einaudi |  Salvatore D’Alessio

Giacomo Leopardi lo abbiamo incontrato tutti almeno una volta nella vita, lo abbiamo studiato frettolosamente a scuola, gli adulti hanno provato a spiegarcelo da bambini, abbiamo studiato “Il sabato del villaggio” in un fine settimana invernale, da piccoli, scoprendo che quella sensazione di tristezza, del tempo che passa e della festa che finisce, era uguale ed identica alla nostra.

Per molti di noi, lo scrittore di Recanati, ha rappresentato il primo approccio alla poesia, ed anche con una lingua distante dalla contemporaneità continua a parlarci, la sua storia affascina tutti, da secoli, è diventato un’icona popolare, la sua vita è finita sul grande schermo e nei libri per ragazzi.

In tanti modi è stata raccontata la sua esistenza ma mai nel modo in cui lo ha fatto Michele Mari, in “Io venìa pien d’angoscia a rimirarti” un libro con tante vite, pubblicato prima da Longanesi, poi da Marsilio, poi da Cavallo di Ferro e ora da Einaudi.

Mari non ha scritto una biografia in senso stretto, non ha scritto neppure un romanzo canonico, ci ha dipinto un ritratto del poeta da cucciolo, per dirla alla Dylan Thomas. Questo libro è un diario, non del poeta, ma di suo fratello, Orazio Carlo, più grande solo di un anno, è lui a raccontarci di Tardegardo Giacomo, lo osserva crescere nella biblioteca di casa, tre le sue ossessioni e le sue analisi.

La storia della più nobile delle famiglie di Recanati la conosciamo tutti, sappiamo delle passioni politiche di Monaldo e dell’oltranzismo religioso di Adelaide ma poco sappiamo dei segreti più intimi della casa, del rapporto con le origini, delle punizioni subite dai piccoli, delle domeniche in preghiera con i libri chiusi a chiave per evitare distrazioni.

Michele Mari ci racconta tutto questo, usa la lingua di quel tempo, omaggia l’opera di Giacomo Leopardi e ci descrive i momenti in cui quella penna scivola sul foglio, ci racconta del mutamento del corpo, sotto il peso dei giorni passati e dei libri letti.

Quello che succede tra le vie di Recanati, in quei giorni del 1813, si intreccia con fili stretti alla vita della famiglia, sulla collina accadono strane stragi di animali e anche gli umani pagano col sangue. Pare sia un lupo a portare la morte, nessuno lo trova, gli abitanti vivono nel terrore di quello che non conoscono e non capiscono, tranne Giacomo, che continua a studiare imperterrito, convinto che nei suoi libri ci siano tutte le risposte del mondo, anche ai misteri più vicini.

Giacomo è innamorato della luna, ma non nel modo comune in cui un poeta romantico può innamorarsi della natura, lui vuole approfondire gli aspetti scientifici della bellezza, di quanto gli influssi della luce ci possano cambiare, di come l’universo governi la terra, gli elementi, i nostri corpi e sopratutto le nostre emozioni.

Si scopre vulnerabile alla luna, Giacomo, riconosce di subire il suo fascino e si spinge a studiare l’antropologia, gli astri e la licantropia.

Mari ci restituisce un’immagine nuova del poeta, lontana dai luoghi comuni e semplicistici. Giacomo Leopardi, alla fine di questa storia ci appare diverso, e chiudiamo il libro con la certezza che di lui non scopriremo mai tutto, e questo capita solo agli scrittori che hanno saputo raccontare fino in fondo “L’infinito”.

 
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L’estate del cane bambino, Mario Pistacchio e Laura Toffanello, 66THAND2ND | Francesca Schipa

Tutti abbiamo sogni inutili, inutili perché irrealizzabili, e comunque tenuti in caldo con tenera ostinazione; e forse uno dei sogni più frequenti e più inutili è il desiderio di tornare indietro nel tempo, maneggiare il passato modificandolo a nostro piacimento. Tornare indietro con le esperienze acquisite, con altro senno e capacità.

Ma il passato non è materia che si lasci modellare, e ai piedi di questo muro desideri e sogni si arenano.

A meno che.

A meno che un giorno un avvenimento non riporti alla luce il passato, e permetta -se non di modificarlo- quanto meno di coglierlo e forse anche di riparare, in qualche modo, al male fatto e subìto.

La voce narrante de L’estate del cane bambino è Vittorio, un capitano dei carabinieri, che si dipinge fin dalle prime righe, uomo distaccato, solitario, che neanche sa più di avere quel sogno, neanche ci spera. E invece riceve “una pagina di quaderno mangiata dal tempo. Sopra non c’è scritto niente, non una riga, non una parola. La carta è fragile, i quadretti sono stinti. Il muro al margine del foglio, il giardino abbandonato, il sole che scende, le ombre che si allungano, la breccia aperta dal tempo, abbastanza larga perché qualcuno riesca a passarci.”

Eccola, la breccia che trasporta Vittorio e noi in un’estate del 1961, anno dell’esordio di Sandro Mazzola in serie A, anno in cui la luminosa estate di sei ragazzini precipita in un buio infinito.

Vittorio, Michele, Ercole, Stalino, Menego -tra i dodici e i quattordici anni- guardano l’estate e l’estate appare loro infinita, ricca di promesse ed emozioni. Anche di piccole seccature, è vero: Brondolo è un paesino della provincia veneta vicino Chioggia, bisogna dare una mano ai genitori nei campi, fare delle consegne, Ercole deve badare al fratello piccolo Narciso, una vera palla al piede. Ma sono dettagli che non possono scalfire la gioia di tre mesi lontano da scuola, da passare con gli amici, le prime sigarette, le ragazze da spiare, le radiocronache strillate da chi si crede Sandro Ciotti durante partite di calcio senza fine, dove un terreno incolto vicino al delta del Brenta si trasforma nello stadio di San Siro.

Giorni tranquilli in un tranquillo paesino, dove tutti sanno tutto di chiunque, o credono di sapere. O fanno finta di non sapere, con buona pace di tutti. Così dev’essere e così sarà.

A meno che.

A meno che un giorno non sparisca un bambino, e quel bambino è Narciso, il fratellino di Ercole, insopportabile e amato. Scomparso. Lo si cerca ovunque, non lo si troverà. Al suo posto, come nella leggenda di nonno Cestilio, appare un cane nero e gentile, che i ragazzi adottano con naturalezza, convinti che sia la reincarnazione di Narciso, perché è il momento magico della vita in cui si crede alle estati senza fine, all’amicizia e alle leggende “ …e se qualcuno ci avesse detto che non era possibile che un bambino si trasformasse in cane, ci saremmo stretti nelle spalle, infischiandocene.”

Scomparso Narciso, scompare la quiete, quello che fino a quel momento si sussurrava è urlato, offese e accuse diventano frecce scagliate alla cieca. Il gruppo dei ragazzini è scosso, accusato e infine diviso senza che nessuno degli amici ne comprenda davvero la ragione: sono i grandi che decidono per loro, e la ribellione non è prevista, o è considerata pazzia. Tutto finisce: l’estate, l’amicizia, l’adolescenza. Per alcuni la vita. Non si torna indietro.

A meno che.

A meno che il passato non decida di lasciarsi cambiare.

In questo senso L’estate del cane bambino è un noir che ha un finale, se non lieto, almeno positivo: molti anni dopo la scomparsa di Narciso, gli amici si ritrovano, i nodi sono sciolti, una luce permette di vedere e capire ciò che prima sfuggiva -sia per la giovane età dei protagonisti, sia per lo stagno di ipocrisia in cui il paesino di Brondolo sprofonda- e, se non di fare giustizia, di comporre un puzzle che nessuno all’epoca aveva interesse o desiderio di vedere.

L’incontro con il romanzo di Laura Toffanello e Mario Pistacchio -dovuto, com’è giusto, al suggerimento di un bravo libraio- è stato amore a prima vista. I giochi e le rivalità tra adolescenti, che ricordano quelli (a me molto cari) de Il corpo-Stand by me di Stephen King e de I ragazzi della via Pál di Molnár, sono impiantati in una provincia veneta che pare lontana nel tempo e nello spazio, tremolante di umidità e calore. Descritta dagli sguardi di chi non comprende i comportamenti degli adulti e per questo, allo sgretolarsi delle certezze infantili, subisce e soffre, la vita di un paesino all’apparenza tranquillo mostra tutte le sue trame, intessute di menzogne, pettegolezzi, calunnie e pura malvagità, precipitando verso un finale tragico.

La voce adolescente e malinconica (che non risente mai della “doppia penna” degli autori) racconta senza pudori o affettazioni gli avvenimenti che portano al precipitare, ferendo i protagonisti senza rimedio, perché i sogni di gioventù finiscono e cambiare il passato è un desiderio irrealizzabile.

A meno che.

Si ringrazia la libreria Ubik di Foggia per il gentile prestito dei libri!

Salvatore D’Alessio | Il bello dei librai d’Italia, Salvatore D’Alessio, classe 1988, è foggiano di nascita ma anche d’adozione, da quando è tornato a casa per fare il lavoro più bello del mondo. Ideatore del progetto – concorso “Leggo quindi sono”, ama viaggiare per incontrare libri editori e librai.  

Lo si incontra con facilità in ogni angolo di Italia munito di libri, occhiaie e occhiali da sole. Indipendente nelle letture e nei pensieri, ha conservato quella speciale abilità di arrossire quando qualcuno gli chiede di raccontarsi, costringendoci a farlo per lui. 

Felicemente.

Francesca Schipa | Vengo dal Salento, vivo a Roma da vent’anni. Non mi manca niente se non il mare. Ho famiglia qui e lì, ma mi piace viaggiare, mi piacerebbe non avere casa fissa, a condizione di portarmi i libri sempre appresso.

Leggo da che ho memoria, e non intendo smettere a breve. Studio canto, amo cucinare, scrivo su un blog, ho un libro che dovrei finire. E leggo. Ho un cane e un gatto. E leggo. 

Qualunque cosa faccia, in qualunque posto mi trovi, vicino a me c’è qualcosa da leggere. Ne va della mia sanità mentale. 

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