Regia: Ken Loach
Anno: 2023
Produzione: Regno Unito, Francia, Belgio
una recensione a cura di Elena Pacca
86 anni, la vecchia quercia è lui, Ken Loach che resiste al tempo che passa, agli ideali perduti, alla brexit, alla barbarie incipiente e senza tentennamenti prosegue il suo progressive concept movie che inanella un altro fondamentale illuminante commovente rabbioso dolcissimo e militante capitolo o traccia. Il film fa risuonare le corde di un sentimento di comunità che divide, affratella e abbraccia. Vibra lungo i battiti di un cuore mai domo, che vede comunque la speranza anche quando si fa oscena come dice un’amica di Yari profuga siriana armata di macchina fotografica in fuga dalla guerra che giunge con la sua famiglia – ma senza il padre di cui non si conoscono ancora le sorti – a Durham, cittadina vinta e arresa dalla fine dell’industria mineraria, degli scioperi degli anni ’80 e di una desolazione che è vera povertà pur tra i bianchi privilegiati abitanti del posto, che dall’inizio percepiamo essere un mondo storto e distorto, in rovina, abbandonato a sé stesso, dove la buona volontà non basta da sola a raddrizzare – come la k dell’insegna che continua a penzolare inclinata – il corso delle cose e la vita di chi con quelle cose deve fare i conti. Il finale, seppur in articulo mortis, pare dirci che l’unica strada, antica e nuova deve tener fede al motto di chi, proprio in Inghilterra, ebbe modo di elaborarlo: proletari di tutto il mondo unitevi. O, quanto meno, non disunitevi.