ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

[SPECIALE] GLI SPIRITI DELL’ISOLA | L’umanità del male

Titolo originale: The Banshees of Inisherin

Regia: Martin McDonagh

Anno: 2022

Produzione: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Irlanda

una recensione a cura di Elena Pacca

Ma se io avessi previsto tutto questo, dati cause e pretesto…
In Tre manifesti a Ebbing, Missouri, il pretesto c’è eccome. Tutte le azioni che muovono Mildred Hayes sono causate da una motivazione solida, dolorosamente ineccepibile.
Ne Gli spiriti dell’isola, ciò che muove Colm è apparentemente senza motivo. Non c’è un pretesto vero e proprio come inutilmente cercherà di scoprire (per capire) Pádraic.
In entrambi c’è l’eccesso. L’iperbole reattiva che scatena e sostiene i film per tutta la loro durata.

Ma qui, da subito, avvertiamo una stonatura. Un’incrinatura sulla superficie delle cose. Uno scarto come la rifrazione di un raggio di luce che attraversa l’acqua. Lo scarto è dato dal fatto che l’apparente quiete del villaggio della fantomatica Inisherin, piccola isola nell’arcipelago irlandese è turbata da un evento che inizialmente parrebbe risolvibile e invece si incista, si radicalizza e si impone alla comunità sino alle più estreme conseguenze.
Due abitanti dell’isola. La loro amicizia. Che improvvisamente cessa. Una variazione unilaterale di contratto. Colm ha deciso che non è più il caso di perdere tempo con il noiosissimo Pádraic. Ma a Pádraic non basta prendere atto della nuova situazione. Vuole capire. Vuole sapere se ha fatto qualcosa di male, se ha detto qualcosa di sbagliato. Nulla di tutto ciò, lo conforta Colm. Può stare tranquillo. Ma semplicemente non vuole avere più niente a che fare con lui. Vuole suonare, comporre la sua canzone. Quello che lo consegnerà magari ai posteri. Al loro ricordo. E nulla può la gentilezza manifesta, dichiarata di Pádraic. La gentilezza non serve. Non sarà materia di imperitura memoria. Pádraic non si arrende. Lui è un pezzo di pane ed è una cosa buona esserlo. Si illude persino che sia uno scherzo da pesce d’aprile. La crudeltà di quella decisione inaspettata attraversa lo spettro interpretativo dei suoi occhi, della sua fronte corrugata, del suo smarrimento lessicale. Lui ci contava su quell’amicizia. Su quelle giornate al pub. La vita scandita da rituali precisi, dettati dal nulla, dal passare delle stagioni, dagli affetti – la sorella, gli animali, gli amici – in quella terra piatta, divisa come una coperta di patchwork da piccoli appezzamenti riquadrati a perdita d’occhio nella contiguità di un infinito viversi accanto.

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C’è un’ombra scura che avvolge l’isola. Quella banshee che sarà anche il titolo della canzone di Colm, impersonata da una vecchia, tabarro nero e pipa fumante, onnipresente, forse dotata del dono dell’ubiquità che incombe sulle vicende e sulla sorte degli abitanti dell’isola. L’ombra dell’ineluttabile tragedia che grava sul destino degli uomini. Ognuno si salva come può, ognuno bada a sé stesso, e quando viene meno il fattore umano, l’amicizia è un lusso. E allora entra in campo l’assurdo. Quella promessa scellerata che Colm giura a Pádraic. Ogni volta che proverà a rivolgergli la parola lui si amputerà un dito. Una cosa brutale che sembra un paradosso. Lui vuole continuare a perfezionare la propria canzone, accompagnandosi con il violino e la mano e il movimento delle dita sono fondamentali. Mal si accorda questa promessa che non è rivolta contro Pádraic – come sarebbe logico aspettarsi – ma verso sé stesso, con quello che pare essere d’ora in avanti l’unico scopo di vita. Ma ormai la frattura è sancita. Colm e Pádraic sono due continenti alla deriva che si stanno allontanando irrimediabilmente sempre più, ognuno col suo carico di lugubre tormento.
A esser gentili non ci si guadagna niente e Pádraic, alla fine, dopo tanti dai e dai lo capirà e si comporterà di conseguenza, ferendo mortalmente l’animo innocente (ma sporcato dall’oscenità paterna) e fragile di Dominic cui non rimane che esclamare solo un “credevo fossi diverso, almeno tu”.

La coscienza del tragico, la coscienza della propria finitezza, del fatto che tutto può concludersi da un momento all’altro, a volte con un motivo, ma molte altre volte senza, semplicemente perché è così che va la vita, domina il sentimento che pervade l’isola. Ma, al tempo stesso la capacità di non prendere troppo sul serio la propria esistenza, sfocia in una commistione, a tratti spiazzante, fra ironia, assurdo, tragico e, a volte, persino comico che costituisce la cifra del mondo di McDonagh. L’uomo è intrinsecamente la sua storia. Anche quando questa diventa La Storia.

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Siamo nel 1923. Esattamente cento anni fa. Gli echi della guerra civile irlandese, sembrano attutiti da una distanza dalla terra ferma che li tiene lontani, sullo sfondo. Ma non è così. Anche la bottegaia acida è alla spasmodica ricerca di novità, di notizie, sorta di dispacci d’agenzia di ciò che accade altrove. La guerra fratricida fra chi sino a poco prima combatteva fianco a fianco contro un nemico comune per ottenere la propria indipendenza. Fra chi ora è lacerato da un sanguinoso scontro fra consanguinei. Fra chi era amico, fratello, sodale. Senza un motivo apparente si sono imbracciate nuovamente le armi. Verso un nemico fittizio quasi. Come se il male, al pari di un fiume in piena, non trovando sfogo naturale, si accanisca, rompendo gli argini, esondando e dilaniando i cuori che una volta battevano all’unisono per la stessa causa. Pádraic e Colm sono così. La noia è forse l’assenza di conflitto che innesca la miccia anche dove e quando non dovrebbe. Non ci sono ragioni, non ci sono sentimenti. Solo un’apparente freddezza che gela ogni memoria, che mina ogni futuro.

E la ferita è una ferita aperta. Che non si rimargina. Che stilla quel sangue scuro dalla mano di Colm, ormai mutilata, che pare non terminare mai, perché tanto è stato versato e tanto ancora se ne verserà. Il tempo non ha sanato un bel nulla. Altri Pádraic, altri Colm attraverseranno il dolore di una sconfitta senza davvero sapere dov’è che tutto è iniziato.

[In un film in cui è aperta una gara a chi meglio interpreta il ruolo assegnato (peccato la mia mancanza per ora della visione in lingua originale), Colin Farrell/Pádraic e Brendan Gleeson/Colm monumentali, si affiancano in egual spessore Kerry Condon/Siobhán la sorella che partecipa delle sofferenze del fratello ma non esiterà alla fine a scegliere e trovare una propria strada lontana dai confini ridotti dell’isola natia e Barry Keoghan/Dominic volto ingabbiato in una fisiognomica lombrosiana riconoscibilissima e ogni volta capace di assumere toni, sembianze e attitudini diversissime nella sua giovane ma intensissima carriera].
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