ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

[SPECIALE] GLI SPIRITI DELL’ISOLA | Un destino d’incomprensibile violenza

Titolo originale: The Banshees of Inisherin

Regia: Martin McDonagh

Anno: 2022

Produzione: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Irlanda

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Le vicende narrate si svolgono sull’isola di Inisheer nella primavera del 1923. Da lì si vede la vicina costa dell’Irlanda, di cui fa parte, ma insieme al profilo dei bassi rilievi si scorgono anche gli ultimi sussulti della guerra civile, combattuta fra il governo irlandese e l’Irish Republican Army a causa del differente giudizio sull’accordo di pace con il Regno Unito che avrebbe portato alla separazione dell’Irlanda del Nord, a maggioranza protestante, dal resto del paese.

La storia raccontata prende il là dall’incomprensibile rottura dell’amicizia fra Pádraic Súilleabháin (Colin Farrell) e Colm Doherty (Brendan Gleeson). La lunga e reciproca frequentazione, fatta di chiacchierate e sonnolenti pomeriggi trascorsi nell’unico pub dell’isola, entra in irreversibile crisi quanto Colm decide improvvisamente di interromperla chiedendo a Pádraic di non rivolgergli mai più la parola. Difficile capire le ragioni di una scelta – forse depressione o mancanza di senso dell’esistenza – che, di certo, è perseguita con accanimento, più volte ribadita e, soprattutto, definitiva. Da questo avvenimento inatteso si dipana una vicenda che, fra ironia e sottile humor nero, migra in modo lento ma inesorabile dalla commedia del surreale e dell’assurdo beckettiano alla più compiuta tragedia shakespeariana, scavando negli angoli bui e inesplicabili dell’animo umano, come spesso avvenuto nei film di McDonagh e in particolare in In Bruges – La coscienza dell’assassino, con il quale la nuova opera condivide – fra l’altro – i due attori protagonisti.

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L’evolversi dell’intreccio segue, di conseguenza, l’angosciante e insensata mutazione d’animo di un Colm Doherty sempre più insondabile, depresso e autolesionista. Ma anche, e soprattutto, la trasformazione – altrettanto imprevedibile e forse ancor più inaspettata – di Pádraic Súilleabháin, che da mite e gentile semplicione di paese qual era trova nel profondo del proprio animo l’acredine e il rancore necessari per far emergere una violenza repressa inimmaginabile. Il confronto tra i due ex-amici può essere interpretato, a tutti gli effetti, come una metafora della guerra civile che da un anno insanguinava la terraferma (e che in futuro segnerà in modo altrettanto insensato la storia fratricida dell’Irlanda del Nord), nonché – e più in generale – dell’incomunicabilità e della violenza insita nell’agire umano.

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Se l’umorismo e il senso di sospensione del film ricordano – senza dubbio – le tematiche del drammaturgo irlandese Samuel Beckett, altrettanto certamente l’ambientazione e la figura della banshee rimandano al folklore locale e a William Shakespeare in particolare. Questa, come le streghe della tragedia Macbeth, rappresenta – in ogni sua apparizione e via via in modo sempre più evidente andando verso il finale della vicenda – il richiamo a un destino al quale non si può sfuggire, incomprensibile e – di conseguenza – inaccessibile all’uomo.

In un mondo e in una vicenda tanto ineluttabili quanto difficili da interpretare si collocano, quindi, i due protagonisti, il cui futuro resta sospeso in un finale che non chiarisce come andranno a finire le cose fra loro. Non sono, però, i soli personaggi rilevanti del racconto che si arricchisce anche di altre storie, da quella del “matto del paese” Dominic Kearney (Barry Keoghan) – in realtà un adolescente problematico – a quella di Siobhán (Kerry Condon) sorella di Pádraic, i cui destini incrociano quelli dei due uomini e fanno parte di un doloroso affresco in qualità di salvati o travolti dal fato.

In conclusione, un’opera che costituisce un omaggio all’Irlanda e alla propria terra d’origine da parte del regista Martin McDonagh, in cui convive tutto ciò che dell’isola verde conosciamo (e, molto probabilmente, ci aspettiamo): gli ampi panorami verdi ed erbosi, i bassi muri a secco a limitare piccoli campi coltivati e stradine acciottolate, la tradizione folklorica di fate ed entità benigne e maligne e lo spirito irlandese conviviale. Ma anche – e purtroppo – la sua storia di feroce e prolungata violenza fratricida.

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Belle le immagini dell’isola e la fotografia di Ben Davis – al suo terzo lavoro con McDonagh – che esaltano gli amanti dei panorami irlandesi. E notevoli sia l’interpretazione di Colin Farrell – candidato all’Oscar come miglior attore protagonista – che di Brendan Gleeson, Barry Keoghan e Kerry Condon, candidati all’Oscar come migliore attore e miglior attrice non protagonista, per un totale di nove candidature complessive.

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