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[SPECIALE] OPPENHEIMER | O della perdita dell’innocenza

Regia: Christopher Nolan
Anno: 2023
Produzione: Stati Uniti d’America, Regno Unito

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Scrivere di un film della durata di tre ore non è facile. E scrivere di questo film – il dodicesimo di Christopher Nolan – è ancor più difficile: troppo denso il materiale (storico, visivo, sonoro), troppo ambiziosi gli obiettivi del regista e, soprattutto, troppo alte le aspettative di pubblico e critica. E allora meglio iniziare fissando l’attenzione sul classico filo conduttore delle opere di Nolan, piuttosto che sul protagonista della vicenda, e cioè il Tempo. Al quale si affiancherà, successivamente, il nodo cruciale posto dal film.

Il Tempo, quindi. Quello compresso, dilatato o frammentato di molti suoi film, da Memento a Inception, da Interstellar a Tenet per citarne alcuni (si rimanda a Following del 1998, in sala in questi giorni, per un’autentica dichiarazione programmatica sul tema). Quel Tempo parcellizzato fra la sequenza principale – che racconta i primi passi di J. Robert Oppenheimer nel mondo della Fisica nonché lo svolgersi del Progetto Manhattan – e le due sequenze secondarie. Queste narrano l’inchiesta a cui fu sottoposto in pieno Maccartismo come frequentatore di simpatizzanti comunisti e di attivista per la difesa della repubblica spagnola e l’udienza al Senato per la conferma di Lewis Strauss – uomo d’affari e suo mentore all’Institute for Advanced Studies di Princeton – come Segretario del Commercio.

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E proprio il trattamento del Tempo, insieme all’alternanza fra il colore per le vicende più lontane temporalmente e il bianco e nero per quelle più vicine, mantiene alta l’attenzione dello spettatore, insieme alle immagini e a un potente sonoro. Grande cinema, quindi, secondo l’interpretazione di Nolan.

Nell’occhio del ciclone troviamo un ottimo Cillian Murphy e una legione di attori famosi, in parte habitué e in parte new entry dell’universo nolaniano. Una legione che interpreta una non meno nutrita schiera di personaggi che hanno fatto la storia della Fisica, ma che rappresenta – probabilmente – un’occasione in parte perduta, poiché emerge poco il lavoro corale che fu alla base del Progetto Manhattan. Viceversa, è forte l’impressione di un “uomo solo al comando” non solo sotto il profilo organizzativo – e così fu, in effetti – ma anche scientifico e così non fu – in realtà – vista la presenza di un numero di Premi Nobel passati e futuri mai ripetutasi dopo quella vicenda. Per un effetto che non può non richiamare alla mente l’altrettanto nutrita parata di star che abita le rarefatte opere di Wes Anderson (ma la Los Alamos di Oppenheimer non rischia di essere confusa a tratti con la tenue Asteroid City?), anche se Nolan con la rarefazione ha scarse frequentazioni e tenta in ogni modo di scongiurare l’effetto “santino” dovuto al cast, cosa che invece – paradossalmente – non gli riesce con le figure storiche che attraversano il film. A questo rischio sfuggono Edward Teller (un sulfureo Benny Safdie) ed Ernest Lawrence, ma anch’essi solo parzialmente. E, naturalmente, la moglie (Emily Blunt) e l’amante (Florence Pugh) di Oppenheimer, le cui personalità e i cui sentimenti faticano, però, ad emergere nonostante il carisma delle attrici.

Il filone narrativo principale si conclude, sostanzialmente, con l’esecuzione del Trinity Test, una delle scene più attese del film. In effetti – al di là della riproduzione del test ottenuta senza ricorso alla computer graphic – la forte tensione deriva, oltre che dalla particolare gestione del sonoro, dall’intensa attesa vissuta da tutti i personaggi coinvolti, che costituisce forse il vero momento corale del film.

In questa sequenza, Nolan aggiunge anche un piccolo Easter Egg citando uno dei tanti aneddoti sul Progetto Manhattan: un unico scienziato osserva l’esplosione a occhio nudo con la sola protezione del parabrezza di un’auto. Lo chiamano Richard: si tratta dell’allora enfant prodige Feynman, futuro Premio Nobel. Conclusa questa sezione, gli altri due filoni si alternano più rapidamente e il perché e la relazione tra gli stessi si chiarisce nella parte finale del racconto.

I molti pregi e le parziali pecche del film ruotano, però, intorno a quello che è il punto nodale della riflessione dell’autore e cioè la perdita dell’innocenza. O, meglio, di una tripla perdita dell’innocenza. La prima riguarda J. Robert Oppenheimer, la seconda è quella della comunità degli scienziati in quanto tale (soprattutto dei fisici), mentre l’ultima concerne gli Stati Uniti d’America e i loro valori. Oppenheimer comprende per primo il rischio che si cela dietro l’ingresso della scienza nei più profondi costituenti della materia, messi a nudo dalla Meccanica Quantistica. Spinto dalla propria idealità (o ambizione?) si rende disponibile per costruire l’arma che avrebbe reso per sempre superflue, a suo dire, tutte le armi… un sognatore quindi o, forse, una persona inizialmente impreparata a valutare le conseguenze ultime di ciò a cui si impegnava a dar vita, conseguenze che diverranno chiare poco dopo.

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Insieme alla perdita dell’innocenza del protagonista vi è quella dei fisici che, forse per la prima volta, sostituirono ingegneri e chimici nello sviluppo di quella che sarebbe diventata la prima arma suprema della storia (ma Edward Teller, padre della futura bomba H americana, stava già ragionando in termini di megatoni piuttosto che di kilotoni…).

E infine – ma di certo non ultima per importanza – l’innocenza perduta degli Stati Uniti, che hanno finanziato e gestito il Progetto Manhattan. Quegli Stati Uniti che, pur amando essere considerati i “buoni” per eccellenza, non hanno esitato a lanciare la prima bomba atomica su Hiroshima – per risparmiare vite e far tornare sani e salvi i ragazzi, ovviamente – ma anche e soprattutto la seconda su Nagasaki (ciononostante il Plutonio 239 resterà per sempre una sorta di Buzz Aldrin della tavola periodica, vista la primogenitura dell’ordigno all’Uranio 235 sganciato solo tre giorni prima). Gli Stati Uniti si scopriranno, inoltre, non solo anticomunisti ma anche così paranoici da braccare, in una vera e propria caccia alle streghe, tutti coloro che avevano simpatie di sinistra: intellettuali, scienziati di origine ebraica (non erano forse loro i fondatori del comunismo internazionalista?), artisti di ogni genere e molti attori di Hollywood.

In conclusione, Nolan riesce – anche grazie alla fotografia di van Hoytema e alle musiche di Göransson – nella difficile impresa di trasmettere al pubblico la convinzione che dal giorno del Trinity Test nulla è stato più come prima e che una volta liberato il genio contenuto nell’atomo nessuno avrebbe avuto la forza di rinchiudercelo nuovamente. Edward Teller è lì a ricordarcelo quanto Oppenheimer e forse ancor di più. Non è un caso che, in questo momento storico, la tematica delle armi atomiche – che aveva dominato gli anni ’80 – stia tornando in auge in posizione sia centrale che di contorno, come visto di recente in film quali Pacifiction e il già citato Asteroid City.

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