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[SPECIALE] PINOCCHIO DI GUILLERMO DEL TORO | Crescere Disobbedire Comprendere

Titolo originale: Guillermo del Toro’s Pinocchio

Regia: Guillermo del Toro, Mark Gustafson

Anno: 2022

Produzione: Stati Uniti d’America, Messico

una recensione a cura di Elena Pacca

Prendi una storia trita e ritrita più volte elaborata, non farne un calco pedissequo né una trasposizione più o meno fedele, sovverti i parametri, ma non l’intento didattico, la morale di una storia che dal legno intaglia una nuova versione di sé, che mette in scena la spregiudicatezza di un autore che ama il cinema e difende i suoi canoni estetici con la passione di chi può permetterselo e fregarsene di chi storce il naso, appuntito o meno che sia, e troverai una favola poetica, profonda e capace di sorprendere.

A pochi minuti dall’inizio muore un bambino nel modo più crudele e immotivato, se mai la morte di un figlio possa trovare una qualche giustificazione. Carlo, figlio del rispettato e amato Mastro Geppetto, perde la sua giovane e luminosa vita sotto lo sgancio di alleggerimento di una bomba che colpisce la chiesa dove il babbo sino a un attimo prima stava lavorando al crocifisso ligneo da lui scolpito. Un attimo e quel che accade è accaduto. Irreversibilmente. Il dolore è un grido contro quel Dio che si è distratto e che ha permesso che un padre fosse privato del suo unico figlio, già orfano di madre. La statua rimarrà a lungo incompleta, a dar forma a quello strappo tra le cose terrene e un’ingiustizia perpetrata insindacabilmente e brutalmente dall’alto, così straziante da rendere monca una fede. Mastro Geppetto soccombe sotto il peso di un dolore profondo, quel peso che lo indurrà, stanco e disilluso, a chiamare fardello il bambino burattino che lui stesso ha costruito.

Pinocchio img 2 elena

Come ne Il labirinto del fauno, la storia si svolge durante la cupezza di tempi duri, di dittature al potere, dove più che l’obbedienza servile, deve essere premiata la disobbedienza, l’andare controcorrente e pensare che no, la guerra non è mai bella e fa male, molto male. Il ventennio fascista fa da sfondo a una storia che attraversa l’Italia dei mille borghi arroccati in cima alle colline, a tratti par di stare a Civita di Bagnoregio, e poi, grazie alla tournée circense dell’opportunista e mellifluo Conte Volpe/Mangiafuoco, da Alessandria giù per Firenze, Livorno, Avellino e infine Catania, dove proprio il duce in persona assisterà allo spettacolo. 

Se Mastro Geppetto è facilmente, naturalmente e indispensabilmente amabile, nonostante il dolore e la rabbia spesso lo attraversino, Lucignolo è un ragazzino meno furfantesco di quanto la nostra memoria si aspetti. La spavalderia di facciata non è che una maschera dolente e sempre in odor di sconfitta, indossata controvoglia per compiacere un padre che non riesce a vedere nel proprio figlio quel campione di sfrontatezza, invincibilità e coraggio che invece vorrebbe che fosse, per esser l’orgoglio suo e del suo tempo, testosteronico e senza tema.

Pinocchio img 3 elena

Il mondo di del Toro è sempre all’insegna di uno sconfinamento tra mondi paralleli ma che spesso aprono alla possibilità di un contatto, di un momento di congiunzione che non è per tutti. Qui è per Pinocchio, burattino senza fili e senza indottrinamento che porta con sé l’afflato di uno spirito libero, di un’anima pura, seppur in prestito, in un mondo diviso fra buoni e cattivi. A donargli la vita una fata/entità sovrannaturale – anch’essa disobbediente – come dirà la sorella Chimera bluastra un po’ indispettita – che invece concede a Pinocchio il privilegio di non morire mai per davvero, ma di scontare il tempo di un giro di clessidra e ritornare in vita.

E Sebastian, il grillo parlante, che suole abitare nell’incavo corrispondente al cuore di Pinocchio – nella versione originale con l’interpretazione di Ewan McGregor – non è il petulante rompiscatole che siamo portati a considerare ma è una sorta di mentore, fidato e comprensivo, scrittore nonché voce narrante e portavoce di del Toro e della sua coscienza.

Pinocchio ci parla di diversità. E Pinocchio capisce subito che la sua è malaccolta. Qual è la differenza tra lui e quell’altro essere di legno, visto che uno, il crocifisso è idolatrato e lui, invece, è temuto?
Pinocchio ci parla di amicizia, lealtà, abnegazione, sacrificio, rinuncia. E ci parla di gioia, di condivisione, di rispetto e di gratitudine.
Pinocchio ci parla d’amore e morte. Ci parla di una irreversibilità difficile da accettare che coinvolge tutti gli umani e il loro sentire. Ci parla del tempo prezioso che ci è concesso, del fatto che non si può sapere quanto sia e che è importante conservare la memoria di chi c’è stato anche quando non c’è più. E se tutto può apparire semplice è perché è una favola e deve usare un linguaggio semplice, spontaneo, lungo un filo che non è una linea retta ma un gomitolo con tanti nodi, sfilacciato a volte, ma pur sempre in grado di costruire una trama di bellezza e poesia. Perché ogni favola è un gioco e se a giocare ci chiama Guillermo del Toro allora sarà una favola un po’ dark, un po’ fantastica e se siamo in grado di ascoltare, prestare attenzione, guardare con occhi nuovi, capiremo qualcosa in più di questa vita che non è una favola, ma è realtà.

[Girato con la tecnica della stop-motion Pinocchio di Guillermo del Toro ci regala figure delicate e tenere, garbate ma non leziose. I volti esprimono i sentimenti, l’indole, la spensieratezza o gli affanni di chi li indossa. Doppiare le canzoncine nella versione italiana, se una pecca dobbiamo scovare, è un’operazione inutile e impropria, come se fosse stato mai necessario doppiare Jesus Christ Superstar].
Pinocchio img 1 elena
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