ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

[SPECIALE] PINOCCHIO DI GUILLERMO DEL TORO | O dell’accettazione di sé e degli altri

Titolo originale: Guillermo del Toro’s Pinocchio

Regia: Guillermo del Toro, Mark Gustafson

Anno: 2022

Produzione: Stati Uniti d’America, Messico

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Pinocchio di Guillermo del Toro è liberamente ispirato al romanzo per ragazzi Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi, come esplicitato fin dal titolo che anticipa – con il diretto riferimento al regista – la personale interpretazione di del Toro per quel che riguarda citazioni e tematiche affrontate.

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Tema centrale del Pinocchio di Collodi era l’apprendimento e la crescita interiore mediante l’esperienza, aspetto presente sin dall’inizio anche nel film, dove il burattino – compiendo i primi passi nella casa – chiede ossessivamente come si chiamano e a cosa servono i vari oggetti, sperimentandoli in modo anche distruttivo. Accanto al classico tema collodiano se ne innestano – però – altri, che diventano prevalenti nelle scelte del regista. Su tutti quello della diversità: in questo caso i rimandi letterari al Frankenstein o il moderno Prometeo di Mary Shelley sono evidenti sia nella creazione di Pinocchio – molto più agitata e convulsa dell’omologo collodiano – sia nella sua incompletezza, frutto – appunto – delle modalità di creazione del burattino (si pensi, ad esempio, all’asimmetria dovuta alla mancanza di un orecchio). Nonché, non secondario per importanza, il tema della prima accoglienza riservatagli dalla comunità.

Sotto questo profilo è, a tutti gli effetti, un film sull’accettazione di sé ma anche – e forse soprattutto – sull’accettazione degli altri così come sono, con una particolare attenzione al rapporto fra padre e figlio.

Tale aspetto costituisce la differenza più significativa con il Pinocchio di Collodi, che imparando dalle proprie esperienze e (dis)avventure diventa degno di abbandonare la sua forma di burattino e trasformarsi in un vero bambino. Il Pinocchio di del Toro, esattamente come quello collodiano, matura nel corso delle vicende e acquista consapevolezza di sé e del mondo, ma maturano – insieme a lui – anche tutti gli altri personaggi che lo circondano: da Lucignolo a Spazzatura (genialmente introdotto da del Toro), da Geppetto a Sebastian il Grillo.

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Gli ultimi due, in particolare, non sono “perfetti” sia dall’inizio come li rappresenta – moraleggiando – lo scrittore fiorentino, ma sono oggetto – in modo molto più moderno – di un percorso di crescita che li porta ad accettare e valorizzare la diversità del burattino, che – non a caso – rimane tale alla fine della storia e del quale il regista privilegia lo sguardo puro e innocente.

Al tema principale si affiancano sia il messaggio pacifista, sia il tema politico: il primo è trasmesso attraverso la collocazione temporale del racconto, posto fra le due guerre mondiali delle quali del Toro mostra gli effetti distruttivi, mentre il secondo è sottolineato da un passaggio sul regime di Benito Mussolini, che ama i burattini in quanto individui facilmente pilotabili ed è indignato da Pinocchio, vero burattino sì ma dotato di un pensiero autonomo. Alla ferocia della guerra e alla cecità della dittatura si contrappongono la solidarietà e il coraggio che ne derivano e che portano alla crescita umana di Spazzatura e Lucignolo.

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I temi affrontati nell’opera si inseriscono in un contesto formale in cui il senso del mistero e del gotico, tanto cari all’autore, trovano un delicato equilibrio con la vicenda principale: gli esseri magici, la morte e la rinascita, la descrizione dell’anticamera dell’aldilà, i conigli funebri… Del Toro riprende e amplifica con la propria sensibilità alcuni elementi che erano presenti anche nel romanzo di Collodi e sono giudicati tra le parti più riuscite del racconto, dall’incontro del burattino con la fata alla sua impiccagione (vedasi l’analisi in Pinocchio, un libro parallelo (1977) di Giorgio Manganelli).

Non si può poi non parlare, infine, della tecnica realizzativa del film, una riuscitissima stop motion frutto di quindici anni di lavoro (dall’ideazione alla realizzazione) svolto con il coinvolgimento dei migliori professionisti messicani del settore. Inevitabile il parallelo (e il contrasto) fra i due titoli di “animazione” proposti in sala o in streaming in questo periodo: Avatar – La via dell’acqua e Pinocchio di Guillermo del Toro. In entrambi i casi si tratta di mondi fantastici capaci di creare una totale empatia nello spettatore, con il massimo della tecnologia e dell’immersività da una parte e una tecnica oltremodo antica (seppur coadiuvata dai mezzi più moderni) dall’altra.

In conclusione, un Pinocchio splendido e sorprendente da ogni punto di vista, un racconto morale che – pur ispirandosi alla tradizione – riesce a modernizzare il messaggio più profondo, esaltando la capacità del regista di stupire e ammaliare ancora una volta chi si pone di fronte ad uno schermo.

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