Titolo originale: Extraña forma de vida
Regia: Pedro Almodóvar
Anno: 2023
Produzione: Spagna
una recensione a cura di Elena Pacca
Trentunminuti imbastiti con sano divertimento da Pedro Almodóvar, che dopo La voce umana, protagonista Tilda Swinton e la Maison Balenciaga, ora rilancia con Anthony Vaccarello, direttore creativo di Yves Saint Laurent e due protagonisti assai mirabilmente assortiti: Ethan Hawke e Pedro Pascal: affilato il primo, stropicciato il secondo.
Come tutti gli ambienti a netta dominanza maschile, dove il machismo superomistico si coniuga con onore, dovere, orgoglio, riscatto, vendetta, il vecchio far west è lo scenario ideale per ambientare una storia di corrispondenza di amorosi sensi fra uomini sensuali e messi a nudo ma non spogliati dei rispettivi sentimenti. Un incontro dopo tanto tempo, lontano anni luce da un’esuberante giovinezza. Casualità? Volere? Necessità?
L’amore talvolta diverge sullo sguardo verso cui posiamo il nostro futuro. Verso quel luogo dove un teletrasporto immaginifico ci trasferisce nei giorni a venire. Così Jake e Silva abitano, non solo fisicamente, luoghi diversi che mai si potranno conciliare. Nonostante la tensione amorosa che, pur dopo così tanti anni, allerta sensi, emozioni e un’attrazione carnale che sfida le regole del tempo.
Ethan Hawke – presi in prestito i panni dello sceriffo dal recente The Kid di Vincent D’Onofrio dove è Pat Garrett in un altro mitico conflitto duale con il bandito Billy the Kid più volte rappresentato – sembra rassegnato, arreso a una vita che non concede null’altro che il dovere, Pedro Pascal nutre comunque la speranza di una svolta un cambio di rotta, un coronamento di un sogno lontano e al tempo stesso tangibile che si rende possibile in una sorta di dinamica alla Misery non deve morire quando si presenta l’occasione di “imprigionare” e accudire il suo amato.
Un duello che prima che con le armi è giocato sul filo degli sguardi, del sotteso, dell’impeto che ben delinea la caratterizzazione di Ethan Hawke e Pedro Pascal. Algido il primo, ferreo nel suo essere implacabile nonostante tutto e passionale e romantico il secondo, tormentato da un conflitto interiore straziante e devastante. È un conflitto classico tra apollineo e dionisiaco (e la scena del vino che scende sui volti di Jake e Silva giovani, dell’ubriacatura e della sbornia sensoriale ne è una puntuale rappresentazione), in cui nessuno cede, ognuno si mantiene fedele alla propria natura, entrambi irriducibili nella consapevolezza di arrecare dolore loro malgrado.
I tempi ristretti non minano la coerenza filmica, nessuna parvenza di frettolosità, ma anzi una completezza che potrebbe preludere ad altri capitoli ma che nulla toglie in compiutezza a questa storia dove ciascuno perde e ha perso qualcosa rinunciando a quel tratto di vita che possa dirsi degna di essere vissuta. Rimane un lascito malinconico dato dall’affastellarsi di ricordi, di sensazioni ed emozioni dimenticate o rimosse che risalgono in superficie con prepotenza, sfidando la pelle, i sensi e la mente, innescando un’inevitabile nostalgia del futuro.