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SULLA INFINITEZZA | Om det oändliga

una recensione a cura di Tiziana Garneri

Forse non toccherà le vette raggiunte con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, tuttavia questo film, che si è aggiudicato il Leone d’argento per la regia nel 2019, ne riprende contenuti.

Permane lo sguardo senza speranza dell’autore, un sardonico sguardo sull’umanità, non scevro di alcuni attimi di sottile comicità.

Pare comunque che qui l’estro di Roy Andersson giochi un po’ a celarsi e a celare i significati: non a caso, è probabile metaforicamente, uno studente enuncia il primo principio della termodinamica ad una compagna che svogliata si sta pettinando.

Una voce femminile fuori campo ci narra momenti di vita nella assoluta fissità delle immagini.
“Tableau vivant” in una totale incomunicabilità, quasi in stile hopperiano, si susseguono.
Dal cameriere che versa il vino sulla tovaglia con l’avventore che rimane impassibile ai due amici che si incontrano e non si salutano; da un dentista che non ha voglia di curare il paziente alla nonna che fa la foto al nipotino. Il sacerdote che ha perso la fede, in preda agli incubi, e si riceve la porta in faccia dallo psicanalista che “sennò perde l’autobus”. Il papà che allaccia le scarpe alla figlia sotto la pioggia, la donna che perde un tacco della scarpa. Fino ad arrivare al bunker di Hitler o a un plotone di soldati che marciano sotto la neve. Tanta neve perché è anche Natale, la gente brinda solitaria osservando l’indifferenza dei fiocchi che scendono.
Presente e passato si mischiano, fatti importanti o banale quotidianità.

Una coppia di amanti viene ripresa in modo surreale con un movimento di macchina. Due figure alla Chagall che fluttuano nel cielo su una Colonia distrutta dalla guerra.

Umorismo surreale, angosciosa solitudine.
Un film di sottrazione: manca l’amore, la solidarietà, l’attenzione verso il prossimo.
Tutto inesorabilmente parla della fragilità umana, della vulnerabilità dell’esistere.

Dall’incubo (la via crucis di un uomo che ci può ricordare il cinema di Ciprì e Maresco) al sogno degli amanti. Tutto è oggetto di distaccata e gelida osservazione.

Forse il film ci parla dell’assenza di un DIO ove ci si rivolge solo alle lapidi. Dove un auto si ferma nel nulla, un uomo scende e apre il cofano, non sa cosa fare e si trova nella più totale solitudine.

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