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[TFF40] LA LUNGA CORSA | Verso il mare

Titolo internazionale: Jailbird

Regia: Andrea Magnani

Anno: 2022

Produzione: Italia, Ucraina

una recensione a cura di Alessandro Cellamare

In concorso alla 40esima edizione del TFF, Andrea Magnani si cimenta al suo secondo round, in veste di regista e sceneggiatore, in un lavoro che appare sin dalla prima sequenza un oggetto raro e alieno, non solo all’interno del festival torinese ma dell’intero panorama cinematografico italiano. Avvitato attorno al tenero personaggio di Giacinto, ne narra, su flashback, nascita e vita fino alla maggiore età, raccontandoci la storia di un bambino nato in carcere da una coppia di galeotti, poi abbandonato, infine accolto dalle stesse guardie carcerarie, prevalentemente femminili – anche se a prendersene cura sarà Jack, capo dei secondini.
La genuinità, la stramberia e l’umanità di Giacinto daranno una svolta agli “abitanti” della struttura.

La lunga corsa img 1 ale c

La lunga corsa è un cinema di sentimenti, puri, semplici, di quelli spesso banditi dal cinema mainstream, per moda, per mancanza di richiesta, tante volte per incapacità. Né effetti speciali né trame cervellotiche in una commedia leggera che riconcilia con la voglia di semplicità e tenerezza, un racconto che, pur senza ricorrere al fantastico, si svela presto, per struttura e improbabilità di accadimenti, con tutti i connotati della fiaba che educa al “sentire”, alla diversità e al loro non vergognarsene. A cavallo tra la purezza del personaggio tonto di Forrest Gump e quello stralunato di Lazzaro felice (stesso interprete, Adriano Tardiolo), Giacinto entra nel cuore dello spettatore sin dall’incipit, le sue reazioni “inappropriate” messe a contrasto con un incidente d’auto e una partoriente. Dopo i primi anni di vita in carcere (ma non in cella), il bambino viene inserito nella società “vera”, quella dei normali, ma fuori si scontra con il bullismo (rappresentato in toni da commedia) e non trova né lo stesso amore di Jack, severo ma umano, né quello della terribile criminale Rocky, che lo accoglie da piccolo, e lo sprona per il suo talento da corridore da grande. Giacinto viene allontanato dal carcere ma ci ritorna ogni volta, come un gatto che ritrova la via di casa, seguendo le linee sull’asfalto o pestando qualcuno per farsi arrestare. Il suo è un micromondo atipico – anche se irrealistico, ma è il patto con lo spettatore -, fatto di persone pure ma corrotte da un mondo che non lascia spazio all’umanità, uomini e donne che Giacinto riporta a nuova/vecchia vita grazie all’amore che attrae su di sé per l’improbabile genuinità. Suggestiva ed emblematica è la sequenza di Rocky, portata dall’ingenuo protagonista fuori dal carcere sulle rive del mare, di notte, alla luce lunare, che non fugge ma contempla la libertà: una sorta di commiato subito dopo la rinascita.
La lunga corsa si chiude con una lunga corsa, quella di Giacinto in libertà vigilata, che per la prima volta è davanti a tutti, e lo è per una dote spalleggiata non dalla società “giusta” ma dalle persone “sbagliate” del carcere. A un passo dalla vittoria devia, sceglie il cuore e ritrova con i pensieri Rocky, nel suo sguardo lontano verso il mare.

Il film di Andrea Magnani sfugge alla retorica, è puro come il protagonista e, come lui, si fa amare, ma dell’incoscienza porta anche qualche défaillance, per quanto non drammatica. E’ quasi costantemente sottotono, non ricama quanto potrebbe le emozioni, e raggiunge solidi tocchi di poesia solo in pochi momenti, apparendo nel complesso poco più di un prodotto televisivo da prima serata su Rai Uno, per famiglie di bocca buona e bambini che stanno per andare a letto.
E’ questo il suo limite, è vero, ma quel che resta addosso sui titoli di coda è già un bel traguardo.
E senza neppure lunghe corse.

La lunga corsa img 2 ale c.
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