Regia: Isabella Eklöf
Anno: 2023
Produzione: Danimarca, Svezia, Groenlandia, Norvegia, Paesi Bassi, Finlandia
una recensione a cura di Elena Pacca
Un trauma adolescenziale segna e frattura l’esistenza di Jan. Si allontanerà appena possibile da Copenhagen per trasferirsi – lo vediamo quindici anni dopo padre di famiglia – in Groenlandia. Tratto dal romanzo autobiografico di Kim Leine narra di un transfer – non solo emotivo ma fisico e geografico – verso un luogo talmente diverso da essere una sorta di alienità cercata per porre una congrua distanza a sancire un necessario distacco. Argomento scottante – l’abuso sessuale di un genitore sul proprio figlio – che qui fatica a trovare un focus preciso, data la molteplicità dei temi trattati e di tutte le loro implicazioni. Assistiamo lungamente – fin troppo – a una sregolatezza di vita da parte di Jan, infermiere professionista che pratica una sorta di poliamore aselettivo: “ti piacciono le ragazze groenlandesi? mi piacciono tutte le donne”. La regia appare un po’ incerta nella direzione e nella posizione da prendere e si concentra molto sul contorno – la dimensione del villaggio, le usanze, la vita della comunità groenlandese cui Jan ambirebbe appartenere, apprendendo la lingua ostica e apprezzando la particolare cucina. Sottotraccia si palesa anche un discorso sul concetto di madrepatria – la Danimarca – e la rivendicazione di autonomia – data la profonda diversità culturale della Groenlandia. In tutta questa, non solo metaforicamente ma anche letteralmente, carne al fuoco, la scelta degli attori protagonisti Jan e Lærche, sua moglie, di certo non aiuta, poiché suscita più di una perplessità l’interpretazione un po’ straniante, goffa, oltre al tratteggio delle rispettive personalità. Il trauma iniziale trova infine una sua qual conclusione, quando, oltre a quella evidenziata, scopriamo che il padre si è macchiato di altre nefandezze, rimanendo pressoché impunito. Kalak è termine ambivalente, può avere connotazione sia positiva sia negativa: un “vero groenlandese” o uno “sporco groenlandese”, a seconda dell’intenzione e del contesto; un palindromo che ben si applica a Jan, al tempo stesso, vittima e carnefice a seconda del punto da cui lo si guarda, in cerca di una sorta di redenzione pacificatoria che lo restituisca integro al mondo, quale che sia.