Titolo internazionale: Night Courier
Regia: Ali Kalthami
Anno: 2023
Produzione: Arabia Saudita
una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva
Mandoob è il secondo lungometraggio del regista saudita Ali Kalthami, dopo Wasati del 2016. Il film si presenta come un ibrido fra più generi, dalla tragicommedia al thriller, dal noir delinquenziale alla storia underground. A dominare su tutto sono il buio e la notte, con le ore del giorno relegate a poche scene girate in ambienti chiusi.
Fahad è un impiegato di un call center di Riad, ritardatario e poco professionale durante i contatti telefonici con i clienti. Le chiamate, però, sono registrate dalle risorse umane dell’azienda, che decidono di licenziarlo in tronco dopo un surreale litigio con il suo superiore. Per sbarcare il lunario, il protagonista inizia a lavorare per una app di consegne e nel suo notturno peregrinare fra i quartieri della capitale si imbatte in un corriere che consegna clandestinamente alcolici a domicilio.
Il sogno di facili guadagni spinge Fahad a rubare le scorte di alcool del corriere e nasconderle in un edificio in rovina. È l’inizio di una vicenda che lo costringerà ad affrontare, a rischio della vita, la banda di trafficanti che ha derubato, in un susseguirsi di eventi in cui anche l’omicidio diventerà una possibile opzione nella vita dello stralunato personaggio, che vedrà minacciata anche la propria famiglia.
Il termine arabo Mandoob ha tre diversi significati: persona autorizzata a consegnare un pacco, persona compianta per una perdita o una disgrazia e persona sfregiata. Il regista fa convivere nel protagonista tutti e tre i significati del termine: se da un lato, Fahad è senza dubbio un night courier (come da titolo inglese), dall’altro lato è certamente una persona degna di compassione per la serie di disgrazie che le sue azioni gli procurano. Ed è, infine, una persona sfregiata nell’immagine che avrà di sé dopo le avventure notturne, a causa delle quali tutto il peggio emerge.
La storia si svolge fra le strade e la vita notturna di una Riad in cui l’allucinato personaggio fatica a ritrovarsi, anche se la vicenda potrebbe svolgersi in una città europea o americana sostituendo l’alcool con la droga. Il risultato è un film che, pur proponendo una buona commistione di generi e ottenendo una certa riuscita delle atmosfere, aggira abilmente qualsiasi approfondimento sulla società saudita e sulle condizioni politiche e sociali in cui versa, a partire dalla condizione femminile.