associazione di promozione sociale

[TFF41] WHITE PLASTIC SKY | Soffrendo per il male del mondo

Titolo originale: Müanyag égbolt

Regia: Tibor Bánóczki, Sarolta Szabó
Anno: 2023
Produzione: Ungheria, Slovacchia

una recensione a cura di Elena Pacca

Una graphic novel distopica, ci trasporta fra cent’anni. Budapest è una sorta di avamposto in cui la vita è resa possibile perché si è sotto una cupola protettiva trasparente. Tutto attorno il mondo non esiste più, devastato e distrutto, probabilmente dalle scellerate scelte ambientali perpetrate nel tempo. Il patto stretto con i cittadini è che a 50 anni si concluda la vita umana e, impiantando un seme all’interno dei corpi, si continui a vivere sotto forma di albero in grado di fornire l’ossigeno necessario per le generazioni future e garantire la riproduzione della specie. Stefan e Nora sono i protagonisti, una coppia in cui lei, ancora profondamente provata dalla morte del figlio decide, a insaputa del marito, di concludere la sua vita volontariamente anzitempo, a 32 anni. Una volta scoperta, inizia l’odissea in fuga nel mondo al di fuori – la classica corsa contro il tempo – e il tentativo dell’uomo di “salvare” la moglie espiantando il seme che, già immesso nel cuore, ha iniziato il processo trasformativo. Oltre al tema ambientale e a quello di un’imposizione dall’alto di scelte draconiane non sempre condivisibili (siamo pur sempre nell’Ungheria di Orban) si snocciolano vari temi che, con la tempistica filmica, risultano dei sassi lanciati in uno stagno di propagazione sempre più estesa, che ci raggiungono a più livelli. Il rapporto di coppia, le lacerazioni, l’accorgersi dell’importanza di cose e persone nel momento in cui stiamo per perderle, cosa si è disposti a sacrificare di noi e della nostra vita per gli altri, il concetto di bene universale che spesso non collima con quello personale, il sacrificio individuale e quello collettivo, un rinnovato rapporto con la natura, la discussione sulla proprietà dei nostri corpi, l’eutanasia, la presa d’atto che certe risoluzioni siano necessarie per prevenire la catastrofe, il desiderio che le cose rimangano come sono, nonostante tutto, e l’afflato tipicamente connaturato alla natura umana di sperimentare, di varcare nuove frontiere e nuove possibilità, di contrastare, combattere o di rinunciare, lasciare andare. E l’amore, così vasto e così eterno che, forse, al pari di altro meriterebbe una rifondazione, una rinascita in un luogo che magari non è il paradiso, magari non è quel mare che abbiamo sempre desiderato vedere, ma è pur sempre un nuovo diverso eden, se solo lo vogliamo. 

Realizzato attraverso l’animazione in 3D e il metodo del rotoscopio, il risultato è un alternarsi riuscito tra tagli di luce che riscaldano e cupezza densa e piatta, tra speranza e desolazione.

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