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THE HOLDOVERS | La vita quando meno te l’aspetti

Titolo italiano: The Holdovers – Lezioni di vita
Regia: Alexander Payne
Anno: 2023
Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Dicembre 1970, in un esclusivo collegio del New England, Stati Uniti: la Barton Accademy. Per la festività di Natale, studenti e professori lasciano la scuola per tornare a casa; fanno eccezione solo pochi allievi che per diverse ragioni non possono rientrare in famiglia. Spetta a Paul Hunham (Paul Giamatti) – un burbero ed esigente professore di lettere antiche – l’incarico di sorvegliali al posto di un altro collega che mentendo spudoratamente è riuscito a sottrarsi al compito. Con lui resta solo Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph), la cuoca dell’istituto, che ha appena perso il figlio in Vietnam e non è certo di animo incline ai festeggiamenti.

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A dispetto del lusso e delle cospicue rette, lo spopolamento della scuola è sfruttato per fare economia e, di conseguenza, la dispensa è poco fornita e il riscaldamento viene spento in buona parte della struttura, costringendo i pochi rimasti – gli Holdovers del titolo – a sistemarsi in spazi ristretti dove la convivenza si fa ancor più difficile considerando il lutto della donna, il carattere scontroso e la scarsa empatia del docente e la frustrazione dei pochi ragazzi rimasti, che – pur con motivazioni diverse – sono stati di fatto abbandonati dalle famiglie. Ma non basta: il gruppo presto si restringe ulteriormente poiché i ragazzi vengono invitati da un compagno, il cui padre è venuto a prenderlo all’ultimo minuto, a trascorrere le vacanze in montagna. Tutti tranne Angus Tully (l’esordiente Dominic Sessa) i cui genitori non sono reperibili e non possono, quindi, autorizzarne l’imprevista vacanza/salvezza. Di conseguenza, rimangono nel collegio solo tre persone, che potrebbero avere l’apparenza di un nucleo familiare ma che famiglia non sono e, anzi, all’inizio sono una compagnia davvero male assortita. Nel corso dei giorni svilupperanno, però, un’empatia potenzialmente salvifica per ciascuno di loro.

Alexander Payne intreccia nel film grandi temi e storie individuali. In primis un’America in cui, nonostante la stagione di lotte per i diritti civili, l’uguaglianza è ben lontana dall’essere raggiunta e se la disparità economica ha duramente colpito le possibilità di carriera del professore, per le minoranze svantaggiate “la vita è come la scaletta di un pollaio: corta e piena di merda”. Questa è la condizione della cuoca Mary, donna di colore che ha perso il compagno quando era incinta per un incidente sul lavoro e il cui figlio è morto prematuramente in Vietnam, perché non avendo i soldi per andare al college nonostante le capacità scolastiche, non ha potuto rinviare la partenza per il fronte. Se il contesto sociale è dunque ben presente e dichiarato ed entra nelle vicende dei personaggi, il primo piano è però occupato dalle storie individuali e  dai risvolti psicologici dei protagonisti. Angus Tully, come gli altri ragazzi con cui inizialmente condivide le vicissitudini, è il membro di una classe agiata ma non poco problematica, dove la presenza della famiglia si concretizza in un misto di forti pressioni dettate da grandi aspettative, da un lato, e in un totale disinteresse della dimensione psicologica e affettiva dei ragazzi, dall’altro lato. Che una simile condizione possa essere una bomba a orologeria si è già ampiamente visto più di trent’anni fa in un film come L’Attimo Fuggente di Peter Weir. In questo caso non abbiamo l’empatico e coinvolgente professor Keating (anche lui, però, sopraffatto almeno in parte dal contesto) ma un burbero Paul Giamatti, che ha molti problemi irrisolti e difficoltà personali. È su questo aspetto, in particolare, che si concentra lo sguardo del regista: l’evoluzione dei rapporti tra persone – che trascinano con sé le difficoltà relazionali e i loro fantasmi – che può portare a una crescita umana di tutti gli individui coinvolti, con i possibili futuri sviluppi salvifici in un finale aperto ma in qualche modo, e nonostante tutto, ottimista.

Per raccontarci la vicenda, Payne adotta l’estetica anni ’70, a partire dalla fotografia ma anche dallo stile delle riprese. Bravissimi gli interpreti: Paul Giamatti che dà vita a un personaggio che sembra davvero ritagliato su di lui e Da’Vine Joy Randolph, entrambi vincitori del Golden Globe. Davvero interessante l’esordio del giovane Dominic Sessa che è probabile/auspicabile faccia parlare di lui in un prossimo futuro.

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