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THE MAURITANIAN | Il film della settimana

una recensione a cura di Umberto Mosca

Jodie Foster è una delle massime incarnazioni dello spirito liberal del cinema di Hollywood. Benedict Cumberbatch è senza dubbio lo Sherlock Holmes più contemporaneo che ci sia, e in The Imitation Game è stato anche il discriminato per eccellenza dall’organizzazione per cui lavora. Ad essi aggiungiamo la figura di Tahar Rahim, Il profeta del film di Jacques Audiard – espressione memorabile di una cultura afroeuropea non stereotipata – e avremo l’evidenza del concept essenziale di The Mauritanian, il film prodotto da Amazon Prime che doveva essere un documentario, ma che si è un poco alla volta trasformato in una fiction dal forte afflato civile. È la voce di Bob Dylan, nel finale, a rievocare l’approccio di Hurricane, simbolo di un filone sempreverde che dal cinema di Chaplin e Capra non ha mai rinunciato al valore politico che può assumere il porre al centro dello schermo i diritti della persona. The Mauritanian è un’opera che ci ricorda come una delle mission del cinema sia, infatti, quella di riprendere il racconto della Cronaca per trasformarlo nella Storia di tutti, confermando la rinnovata funzione del cinema come insostituibile immaginario collettivo. E questo grazie anche alle nuove piattaforme digitali che facilitano una distribuzione più capillare e globale dei contenuti, favorendo una visione internazionale delle coscienze. Se The Road to Guantanamo di Michael Winterbottom ormai quindici anni fa inaugurava un universo narrativo che negli anni a seguire sarebbe stato a dir vero ben poco nutrito, le violazioni dell’habeas corpus perpetrate da più di un governo americano (Barack Obama compreso) trovano finalmente, grazie anche a una certa distanza storica, una sanzione compiuta.
Tutto questo in virtù di una narrazione che gioca – almeno sin quanto è lecito fare a un prodotto mainstream – con il legittimo senso del dubbio dello spettatore, portandolo a cogliere il valore più alto di una visione delle cose che non sia costruita in modo manicheo, bensì sulle sfumature e sull’interpretazione indipendente dei fatti.
In un racconto dove il peso dei documenti è oltremodo ingombrante, vanno sottolineate le scelte espressive di abolire – o quasi – le didascalie temporali, di gestire i diversi formati dello schermo, di connotare le vite private dei due avvocati con sobri ed efficaci tratti strettamente finalizzati alla linea tematica.

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