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THE OLD OAK | Un altro mondo è possibile, nonostante tutto

Regia: Ken Loach
Anno: 2023
Produzione: Regno Unito, Francia, Belgio

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

L’ultimo film di Ken Loach giunge in sala a quattro anni di distanza da Sorry We Missed You, frutto – ancora una volta – della collaborazione fra il regista inglese e lo sceneggiatore Paul Laverty.

The old Oak img 1 chiara e beppe

The Old Oak si inserisce alla perfezione nella filmografia classica di Loach, portando sullo schermo una condizione di disagio sociale analizzata – con il tradizionale e solido legame con la realtà – nei suoi più minuti dettagli. In questo caso, al centro della scena vi è l’immigrazione e, in particolare, l’arrivo di profughi siriani in un paese dell’Inghilterra del Nord, con ogni probabilità nella contea di Durham di cui a un certo punto si intravede la bella cattedrale normanna dell’XI secolo.

L’inserimento dei nuovi arrivati nella piccola ex-cittadina mineraria è difficile, poiché ormai da lungo tempo le risorse economiche sono poche, le abitazioni non hanno più valore commerciale e quindi non solo è difficile trovare lavoro ma anche vendere la casa e andar via. Inoltre, non ci sono più i vecchi luoghi di aggregazione in cui le persone potevano incontrarsi per trascorrere il tempo libero, a parte il vecchio pub The Old Oak, peraltro anch’esso male in arnese.

Dal sofferto contesto sociale in cui i profughi devono inserirsi, nasce – invece che la solidarietà fra gli ultimi – una forte tensione, poiché i locali abitanti percepiscono i nuovi arrivati come competitori delle poche o nulle risorse disponibili, comprese quelle di potenziale intrattenimento come la vecchia sala sul retro del pub, ormai chiusa da molto tempo. Ad essere scontente sono, quindi, tutte le categorie sociali del paese: gli uomini che sentono insidiato il proprio lavoro, le donne, i ragazzini che vedono passare sotto i loro occhi vecchi giocattoli, biciclette e altro – che qualcuno dona ai giovani profughi che non possiedono più nulla – e i pensionati che non trovano più la consueta tranquillità neppure al pub. Tutti insomma.

Ma Loach e Laverty hanno da sempre una romantica e inesauribile (e politica) fiducia nella solidarietà umana e nei rapporti tra le persone. Di conseguenza, nasce e lentamente cresce – catalizzata dall’esempio dei due protagonisti, T. J. Ballantyne proprietario del pub e la giovane profuga Yara che parla bene l’inglese e ama la fotografia – una possibile nuova comunità. Non tutto, ovviamente, va per il meglio e nulla viene taciuto degli egoismi dei singoli che emergono prepotentemente nel corso della semplice vicenda di paese, ma la scintilla della comunanza – ormai – è nata e il film si chiude con un finale solidale e quasi utopistico.

The old Oak img 2 chiara e beppe

In The Old Oak ci sono tutti gli elementi che da più di un quarto di secolo caratterizzano la collaborazione fra Loach e Laverty: la forte critica sociale, l’immarcescibile fiducia nella solidarietà tra ultimi e una nota di patetismo gestita sempre con intelligenza, utile sia per sottolineare le questioni politico-sociali affrontate che per aumentare l’empatia dello spettatore. In questo caso, manca un antagonista vero e proprio o un possibile cattivo, anche se gli autori non esitano a rievocarlo dal passato: in una piccola cittadina impoverita dalla crisi mineraria del 1984, a salire indirettamente sul banco degli imputati sono, come sempre, Margaret Thatcher e l’avvio delle politiche ultra-liberiste, che ridussero ai minimi termini il peso e le opportunità del proletariato inglese.

Rispetto agli ultimi due film – Io, Daniel Blake e Sorry We Missed You – il tono è più positivo: anche se la situazione è difficile e le cose continuano a non andar bene, c’è un finale caratterizzato da un riscatto quasi generale della popolazione, nel segno della solidarietà. È quasi come se un Ken Loach ormai anziano volesse lasciarci un messaggio di speranza, nonostante le sconfitte della storia: insistere senza perdersi d’animo è la strada maestra per la creazione di una comunità solidale e aperta. Anche Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà poneva al centro della vicenda la questione della creazione di una comunità come possibile molla di riscatto. Sia in quel film che in questo il progetto fallisce – seppur per motivi diversi – ma se nel primo il barlume di speranza era limitato al rispetto del vincitore per il valore dell’antagonista, in The Old Oak il messaggio è decisamente più positivo.

In conclusione, un film di valore dove (forse) qualche virata verso un eccessivo patetismo poteva essere risparmiata, come nel caso della morte della cagnetta Marra, metafora evidente dei problemi causati da un’aggressività fuori controllo ma un po’ troppo didascalica, anche se gestita con delicatezza fra il vedere e il non vedere.

The old Oak img 3 chiara e beppe
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