ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

[SPECIALE] TRIANGLE OF SADNESS | L’eterna disparità sociale

Regia: Ruben Östlund

Anno: 2022

Produzione: Svezia, Germania, Francia

una recensione a cura di Tiziana Garneri

Se questa è la tendenza filmica attuale, al punto che questa opera vince a Cannes 2022, così come The Square aveva vinto la Palma d’oro nel 2017, arrivo alla conclusione che di cinema ne capisco molto poco.
Mi conforta il giudizio della rivista Cineforum, che lo considera un film squilibrato, esagerato, prolisso, per nulla originale nei temi trattati.

Il termine “triangolo della tristezza” è preso a prestito dalla chirurgia estetica per indicare quella zona tra gli occhi ove si formano le rughe, rimediabili col botox all’insegna che la cura di sé e la pretesa di perenne giovinezza sono valori dei nostri tempi, un concetto ormai acquisito da tempo e perciò privo di ogni originalità.

Östlund ormai pare aver scelto come obiettivo quello di mettere in berlina figure e situazioni assai facili, come già aveva fatto in The Square rispetto all’arte contemporanea.

Triangle of Sadness img 1 tiziana

A modesto parer mio, questo film rappresenta una paccottiglia intellettuale, dove vengono presi di mira tanti temi scontati, una versione discount di film precedenti, shakerati e offerti in maniera centrifugata allo spettatore.
E più precisamente: un rimando a Bunuel per la sua cinica critica a certa classe sociale, che tuttavia il grande regista realizzava in maniera ineccepibile; un rimando a Roy Andersson per l’umorismo nero e grottesco; uno a Lina Wertmuller, ma senza la classe e la profondità con cui la regista girò Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, con l’ottima interpretazione della Melato e di Giannini. E mettiamoci pure un riferimento al Titanic e il cocktail è bell’e fatto.

Temi particolarmente scontati in ciascuna delle tre parti in cui è diviso il film.
Si inizia col modello che deve cambiare espressione del viso secondo che faccia pubblicità a Balenciaga – con uno sguardo supponente e altezzoso – oppure alla marca popolare H&M popolare – con uno sguardo sorridente ed accattivante, per motivi di marketing. E forse questo è l’unico riferimento un po’ innovativo del film, quando riflette le leggi di mercato, un tema forse meno esplorato.

Segue il rapporto del modello con la fidanzata modella influencer – fenomeno che è una delle idiozie maggiori dei nostri tempi e dei social -, una giovane che guadagna più di lui, dove la loro frequentazione pare essere basata soltanto su chi deve pagare il conto al ristorante, e non tanto sugli affetti reciproci.

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E arriviamo così alla crociera sul mega yacht di ricconi a cui i due fidanzati sono stati invitati. Vi troviamo svariati personaggi accomunati dai soldi, dalla bella vita e da fiumi di champagne. Un anziano signore che si è fatto i soldi con “la merda”, vale a dire vendendo fertilizzanti naturali. Ma anche una curiosa coppia che candidamente ammette di essersi arricchita fabbricando bombe, arrivando anche a maneggiarne una con una certa nonchalance. Una eccentrica ospite che pretende che l’equipaggio dismetta la divisa per fare sotto i suoi occhi divertiti un bagno in mare. Visto che ai ricchi non si può mai dire di no.

Si arriva quindi alla serata che dovrebbe coincidere con la cena di gala del capitano, ma intanto fuori infuria una violenta tempesta. Lo yacht ondeggia paurosamente ed è un trionfo di vomito per il mal di mare, di gente che perde l’equilibrio e in abito da sera viene sballottata tra fiumi di liquami maleodoranti.

Il simpatico e furbo capitano ubriacone si è intanto chiuso nella sua cabina, in compagnia del venditore di merda e, tra un bicchiere e l’altro, farnetica all’altoparlante di socialismo e capitalismo. Si tratta, forse, di una delle poche gag veramente intelligenti, dove nello straparlare sotto gli effetti dell’alcool capita anche di dire delle verità.

E quando, dulcis in fundo, lo yacht affonda anche perché è esplosa una bomba a bordo, i pochi naufraghi che si salvano, fidanzati compresi, approdano su un’isola disabitata.
Ma dovranno ancora fare i conti con una sguattera che nel suo profondo disprezzo per i ricchi sa fare molte cose: accendere il fuoco, pescare, procurare il cibo! Perché i ricchi non si sono mai sporcati le mani e quindi non sanno fare nulla. Tutto ha un prezzo, infatti, e il bel modello dovrà in cambio del cibo offrire le sue grazie.
Che Östlund abbia visto qualche puntata della fiction L’isola dei famosi, dove i partecipanti devono procacciarsi tutto per la sopravvivenza?

Ciò che mi disturba maggiormente, tuttavia, è il chiaro remake del film della Wertmuller che viene ribaltato, dove la ricca e bella “sciura” milanese dovrà sottostare ai voleri del povero mozzo in seguito al naufragio della sua bella barca.

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Dal mio punto di vista, inoltre, è assai poco comprensibile la conclusione dove la sguattera e la influencer scoprono la presenza sull’isola di un resort. Che fine farà la fidanzatina? Il finale è aperto, il film termina così.

Ora: pur riconoscendo che nel film si ride anche, e ciò è piacevole, rimango dell’idea che il film sia il trionfo di temi scontati, dalle differenze di classe al potere del denaro acquisito anche in modo sporco, fino ai sentimenti di invidia dei poveri verso i ricchi.
Nessuna originalità di argomenti, dunque… e non riesco a trovare elementi che mi diano una connotazione forte sul regista, qualcosa di profondamente suo che non sia un continuo riferimento a opere altrui.
Si ride, abbiamo detto, è vero, ma di un riso a denti stretti, amaro. Forse è questa l’ottica con cui approcciare e apprezzare il regista. Forse questo è il suo tratto veramente distintivo. Ma da un’opera premiata con la Palma d’oro mi aspettavo molto di più.

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