ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

[SPECIALE] TRIANGLE OF SADNESS | L’inconsapevolezza dei privilegi

Regia: Ruben Östlund

Anno: 2022

Produzione: Svezia, Germania, Francia

una recensione a cura di Liliana Giustetto

Questo nuovo successo a Cannes di Ruben Östlund presenta una feroce critica alla società moderna, come già le sue opere precedenti.

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Molta attenzione è stata posta agli elementi di scena, ripetitivi ed ossessionanti come il rumore del tergicristallo cigolante sul vetro quasi asciutto, o la conversazione che ha luogo in mezzo alle porte dell’ascensore che si aprono e si chiudono continuamente.

Composto in tre atti, il film si svolge in tre ambienti completamente diversi.

Il primo è l’ambiente dei modelli e delle modelle di una ricca città europea, alle prese con una vita al di sopra delle loro possibilità.

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“Non hai visto il conto? Mi vuoi davvero dire che non ti sei accorta di quando il cameriere lo ha appoggiato sul tavolo”

Il secondo è una piccola e lussuosissima nave da crociera popolata da creature che sembrano uscite dalle nostre peggiori fantasie, quali possono essere anziani oligarchi o capitalisti arricchiti nelle maniere più volgari.

Il terzo atto invece si svolge su un’isola deserta.

Certamente presentare a Cannes un film in cui si tagliano i panni ai capitalisti crea, di rimbalzo, il plauso delle giurie privilegiate, formate per lo più da personaggi ricchi e potenti, che vogliono, parzialmente, pagare pegno per il loro privilegio, sublimando un proprio latente senso di colpa, premiando opere che criticano il loro stesso mondo.

I più platealmente derisi sono i russi “venditori di merda”, colpevoli di trarre ricchezza nel commercio di un materiale così impuro e, di conseguenza, di disporre, a proprio capriccio di immensi capitali, che fanno dedurre loro che ogni cosa sia comprabile.
Mitica la scena dell’elicottero che porta una valigetta ermetica, subito raccolta da una lancia di salvataggio, che contiene un bene di primaria importanza: due vasi di Nutella, immancabili per la colazione del russo.

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Poi troviamo i fabbricanti di armi, convinti di essere il baluardo delle democrazie del mondo, pur rimanendo una adorabile coppia di coniugi tanto per bene.

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Lo staff della nave che mira ai soldi guadagnati leccando il c*** ad oltranza ai crocieristi: “sì, signore, ai suoi comandi, vedremo di far lavare le vele, signora”. Anche se le vele su quella nave non ci sono!

Il capitano, interpretato da un mai deludente Woody Harrelson, è un uomo che annega nell’alcol la sua nausea rispetto a tutte queste riverenze, ed è presentato come un archetipo di socialista americano (anche se non viviamo più nel maccartismo), che durante la tempesta sproloquia di discorsi marxisti, amplificati in tutta la nave.

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E, fulcro della narrazione, vi sono l’influencer con il suo fidanzato, che sbarcano il lunario convincendo i poveri follower che la loro è una vita meravigliosa, da imitare, sfruttando le società che le offrono dei benefit, in cambio di pubblicità. Inconsapevoli delle parole con cui riescono a far perdere il posto ad un marinaio solo per un’occhiata di troppo.

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Ma tutto ciò smette di avere il significato iniziale quando cambiano le regole del gioco.
E la domanda che ci pone il film è: chi è cosa, quando e dove?
Cambiando gli status, ciò che ha un valore in un certo ambito vale zero in un’altra dimensione.

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Ad esclusione della bella analisi iniziale sul mondo spietato della moda, dove ogni argomento viene trattato a pari importanza ed i cambiamenti climatici fanno da spalla al bisogno o meno di botox nello spazio tra le sopracciglia – il triangolo della tristezza – per un modello di venticinque anni.
E a partire dalla messa in scena della feroce gerarchia del feudalesimo della prima fila durante le sfilate, quasi tutto è come già scritto.

Il film si dilunga troppo, come se volesse continuare a ribadire gli stessi concetti più e più volte per essere sicuro che il pubblico capisca. Come i liquami nello yacht, degni della scuola dei Monty Python; o lo scambio di favori sull’isola, dove le priorità cambiano e il potere passa di mano; come non ricordare Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, incomparabile opera sul genere?
Il tutto coronato da un finale aperto, più adatto ad un romanzo di vita che ad un’opera sarcastica, che avrebbe tratto giovamento da una scena distruttiva.

Il film pur avendo una innegabile vena di comicità, riesce però a farci pensare che, forse, l’intuizione brillante di Östlund si stia estinguendo, a meno che non riesca, in futuro, a trovare qualcosa di ancora originale su questi argomenti.

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