un rapido sguardo su Un altro giro
Cos’è la giovinezza?
Un sogno.
Cos’è l’amore?
Il contenuto del sogno.
Con questa frase di Kierkegaard si apre Druk di Vinterberg.
Film di morte ma anche di voglia di vivere, di giovinezza ed ebbrezza girato dal regista anche in seguito alla morte della figlia Ida, cui il film è dedicato.
La vita piatta ed incolore di quattro insegnanti di liceo si ravviva provando a mettere in pratica le teorie dello psichiatra Skårderud, secondo le quali un aumento del tasso alcolico migliora la vita e la socialità. Ma l’alcolismo da moderato rischia di diventare compulsivo. Alcool come medicina che accomuna e disinibisce due generazioni, studenti ed insegnanti che si devono confrontare con le angosce del crescere i primi e dell’invecchiamento i secondi. Ma anche pericoloso veleno. Film sull’amicizia maschile, sul bisogno di liberarsi dalle regole rigide, per potersi librare in volo nella libertà.
Provocatorio, innovativo, scorretto, esplora gli effetti dell’alcol ma non ne fa apologia.
Contrappone la rigidità puritana al bisogno di scegliere la propria vita.
Mads Mikkelsen, attore prediletto ed amico di Vinterberg, in stato di grazia, fornisce una performance strepitosa.
Tiziana Garneri
“Non m’importa che bevi con gli amici, in questo paese tutti bevono, m’importa che ti sei allontanato da me”.
Ma contano poco le donne in una commedia in cui si respira, centrale, l’amicizia virile: goliardica intorno a un tavolo, raccolta nel piangere un amico, e, soprattutto, ottimista “accanto ad una bottiglia”. L’alcol, che rende l’opera acutamente “scorretta” e del quale è del tutto imbevuta, è l’hub in cui convogliano, trasversalmente tra generazioni, riscatto e affrancamento. Vitale ed inafferrabile fino in fondo.
Sarebbe da chiedersi se Druk sia l’approdo dell’unico uso sensato che la camera mossa del Dogma poteva avere: ubriacare lo spettatore. Provocazione a parte, Druk è un’opera compiuta sul fallimento e la sua accettazione, sull’amicizia e sulla libertà attraverso la morte di sé.