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UNA DONNA CHIAMATA MAIXABEL | Guardare avanti senza dimenticare

Titolo originale: Maixabel
Regia: Icíar Bollaín
Anno: 2021
Produzione: Spagna

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva
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Il film Una donna chiamata Maixabel della regista Icíar Bollaín narra avvenimenti e personaggi reali della recente storia spagnola. Maixabel Lasa Iturrioz, protagonista della vicenda, è la vedova di Juan María Jáuregui, politico basco assassinato dall’ETA a Lione nel 2000. La donna è stata fra i primi famigliari delle vittime del terrorismo ad accettare di incontrare gli assassini del marito, che in carcere avevano preso le distanze dall’organizzazione terroristica e riconosciuto la responsabilità individuale del dolore causato.

La prima parte del film è caratterizzata da un ritmo più sostenuto e mostra l’assassinio del politico a cui seguono i festeggiamenti del commando – felice per la buona riuscita dell’azione – in contrasto con il dolore della famiglia straziata dal lutto. La vicenda si sposta successivamente di alcuni anni in avanti. Maixabel (Bianca Portillo) e la figlia Maria (María Cerezuela) – che ha avuto da poco una bambina – sono donne forti che vanno avanti nonostante il grave trauma subito. La madre è diventata un’attivista del Partito Socialista spagnolo che si batte perché tutte le vittime di violenza politica siano equiparate fra loro, indipendentemente dal fatto che l’atto terroristico sia stato opera dell’ETA, l’organizzazione armata separatista basca, o del GAL – Grupos Antiterroristas de Liberación, che si macchiò di omicidi coperti dalle strutture dello stato. La situazione non è quindi serena, poiché la perdita subita è ancora straziante ed è forte il timore che l’attività politica faccia di Maixabel un possibile bersaglio dell’ETA, che prosegue con gli attentati terroristici.

Due membri del commando che ha ucciso Juan María Jáuregui – Luis Carrasco (Urko Olazabal) e Ibon Etxezarreta (Luis Tosar) – sono stati arrestati e scontano una lunga pena detentiva. Entrambi si sono allontanati, in momenti diversi, dall’ETA e il film li segue nel loro percorso – simile negli esiti ma differente come vissuto personale – che li porta a desiderare l’incontro con le famiglie delle vittime, nella speranza che un sincero pentimento possa alleviare il dolore di entrambe le parti, come sottolineato dalla stessa ETA nel 2011 quando dichiarò il cessate il fuoco permanente e generale.

Il film è imbrigliato dal doppio obiettivo di rispettare l’andamento di una vicenda realmente accaduta e affrontare un tema politico e storico delicatissimo e molto sentito in tutta la Spagna. Nonostante ciò, riesce nella non facile impresa di offrire una coinvolgente interpretazione delle tematiche universali di delitto, castigo e redenzione. La dissociazione da un’ideologia violenta, la sofferta presa di coscienza della responsabilità individuale di fronte al delitto commesso e l’ammissione di colpa sono elementi cardine sia del discorso politico, sia del discorso morale. Sul fronte storico-politico non sono possibili né il superamento del passato, né la pacificazione senza una conoscenza dei fatti e un’ammissione delle responsabilità, discorso affrontato recentemente anche da Pedro Almodóvar – su una differente tematica, in Madres Parallelas. Anche sul piano etico, presa di coscienza e ammissione di colpa sono alla base di una possibile pace e di un superamento del trauma, sia per chi ha subito la violenza, sia per chi ne è stato portatore. L’assenza di consapevolezza, infatti, genera solo gli spietati assassini della prima parte del film, per i cui festeggiamenti a delitto riuscito e scampato “castigo” non è possibile provare altro che orrore e disprezzo.

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È solo attraverso la comprensione di ciò che è accaduto e la piena assunzione della responsabilità individuale, quindi, che i due assassini diventano esseri umani, per i quali – pur condannandone integralmente la condotta – si può provare empatia. Il film, non a caso, celebra l’importanza del confronto, dell’apertura, del dare una nuova possibilità: di questo sono portavoce le donne, soprattutto Maixabel ma anche la figlia, che la sostiene nella decisione di incontrare gli ex-terroristi. Questa capacità delle due donne di mediare e guardare avanti fa tornare alla mente il recente As Bestas di Rodrigo Sorogoyen, dove – alla fine – sono proprio le figure femminili a trovare un terreno di confronto dopo le violenze maschili.

Bravissimi gli attori: Bianca Portillo e Urko Olazabal hanno vinto i premi Goya 2022 come miglior attrice protagonista e miglior attore non protagonista, riconoscimento per il quale è stato candidato anche l’ottimo Luis Tosar.

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