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VIAGGIO IN GIAPPONE | Il passato alle spalle, improvvisamente

Titolo originale: Sidonie au Japon
Regia: Élise Girard
Anno: 2023
Produzione: Francia, Germania, Svizzera, Giappone

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Viaggio in Giappone (Sidonie au Japon) è il nuovo film della regista francese Élise Girard, che esce nelle sale italiane quasi in contemporanea a un’altra opera di un regista europeo che parla in modo intimo e personale del Giappone, quel Perfect Days di Wim Wenders candidato al Premio Oscar nella categoria “miglior film internazionale”.

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In modo altrettanto personale e delicato, il film della Girard racconta la vicenda del viaggio nel Paese del Sol Levante intrapreso da Sidonie Perceval (Isabelle Huppert), una romanziera che da tempo ha abbandonato la scrittura ma che vede pubblicare una riedizione in lingua giapponese – a moltissimi anni di distanza – del libro che in passato l’aveva resa famosa. In quest’occasione, Sidonie conosce Kenzo Mizoguchi (Tsuyoshi Ihara), l’editore che ha deciso di curare la nuova edizione del suo romanzo. Sarà proprio lui ad accompagnare la scrittrice in un lungo giro di interviste nelle principali città del paese, dove il libro sarà presentato a giornalisti e lettori.

Il viaggio dà modo alla protagonista di iniziare un percorso di allontanamento da un passato che fatica a lasciarsi alle spalle. O, meglio, che per scelta fino a quel momento non ha voluto lasciar andare. A simboleggiare questa sua coltivata incapacità è la figura del marito (August Diehl) che in qualità di fantasma accompagna Sidonie durante il viaggio sin dal primo giorno, facendole affettuosi dispetti nelle camere degli hotel in cui alloggia. E quanto sia inesorabilmente ancorata al passato, la protagonista lo scopre durante il tour giapponese anche, e soprattutto, grazie al sentimento che nasce con il suo editore e accompagnatore, che come lei viene da una storia personale sofferta ed è vicino alla separazione dalla moglie, con cui non ha più nulla da condividere.

Con Viaggio in Giappone Élise Girard ci narra di una riscoperta della vita e di un superamento del passato e dei suoi traumi. Per raccontare una vicenda che ruota intorno a questo tema, la regista sceglie di ambientare la vicenda in Giappone. A differenza di Wenders che realizza un film giapponese – non a caso candidato all’Oscar per questa nazione, realizzato con attori locali e profondamento immerso nella cultura nipponica – la Girard ci presenta quel mondo con gli occhi di uno straniero, sottolineandone volutamente l’estraneità: è proprio l’immergersi in una realtà diversa dalla propria e – in quanto tale – un po’ temuta, che fa scattare nella protagonista l’inizio di un nuovo percorso. Un buon espediente narrativo che, però, è difficile mantenere in equilibrio senza scivolare nello stereotipo. La regista chiama ripetutamente in causa, infatti, alcuni tópoi consolidati – veri e propri luoghi comuni sul Giappone, in realtà – occidentali ed europei: l’estrema cortesia diffusa fra la popolazione, ad esempio, o il continuo ricorrere agli inchini dei locali, a cui tenta di adeguarsi – ricambiando il gesto – un’imbarazzata e spaesata Sidonie. E poi i ciliegi – ovviamente in fiore, sin dalla locandina del film – lo scorcio del Monte Fuji in lontananza e la città di Nara, con i cervi sika che vagano tra i templi. Indubbiamente più interessante è il sottolineare la presenza dei fantasmi e soprattutto l’intima conoscenza degli stessi che caratterizza i giapponesi e il loro folklore, siano essi benigni, maligni o stranissimi e incomprensibili per un europeo. Ma che – nello specifico caso – costituiscono solo l’espediente narrativo a cui la regista ricorre per far incontrare nuovamente la protagonista con il defunto coniuge. Il progressivo rarefarsi della manifestazione fantasmatica, che alla fine diventa quasi trasparente, sottolinea in modo non troppo originale il definitivo allontanamento dal passato di Sidonie e la sua possibile rinascita a nuova vita.

Per concludere, il film è soprattutto l’occasione – per lo spettatore – per ammirare ancora una volta un’elegantissima Isabelle Huppert, come sempre sufficiente a se stessa e a garantire al film quella credibilità degli eventi che chiude una storia forse un po’ troppo esile.

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